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Intervista ad Andrea Nicoli: “Passavo le notti sotto le stelle. Oggi sogno ancora”

2000 Nicoli giornalista con McRae

Intervista speciale per me oggi. Andrea è in primis un amico che il mondo dei rally mi ha regalato e che ogni giorno non smette di confermarmi che fare le cose con passione è la chiave per far funzionare ogni cosa. In secondo luogo perché Andrea conosce le due principali facce del mondo dei rally ed avere un contributo così prezioso per un piccolo progetto come il nostro è un valore inestimabile da custodire con grande cura e un pizzico di gelosia. Mettetevi pure comodi, c’è tanto rally da leggere qua.

Domande a Andrea Nicoli Rallysta

Una lunga carriera sul sedile di destra e una vita dedicata ai rally. Raccontaci com’è iniziato questo amore destinato a non finire mai.

I giornali attesi fuori dall’edicola appena arrivava il furgone delle consegne settimanali, un po’ di immagini dalle prime televisioni private, la radio, si la radio nella lunga notte in diretta del Rally di Montecarlo. Ma la scintilla è scattata durante le vacanze che facevo in Valcuvia, vicino al Lago Maggiore in provincia di Varese. D’estate si disputavano dei rally in zona, il Valli Ossolane, Biella, Varese, Lugano, 333 Minuti, Valtellina, Como. Approfittavo di qualche posto in macchina con gli amici più grandi che avevano la patente e passavo delle notti sotto le stelle perché quasi tutti i rally si correvano di notte, aspettando l’alba nei boschi e nei prati con il sacco a pelo. Le notti avevano un sapore particolare dove tutti i sensi erano attivi. Mi ricordo l’odore dell’olio e dei freni, il rumore dei motori a carburatori, il bagliore dei fari. Poi nei rally potevi avvicinarti ai campioni locali e sentire dalla loro voce le storie spesso romanzate in vero stile “racconto da bar”. Le ricognizioni duravano delle settimane intere e i loro muletti erano delle vere e proprio auto da corsa con il roll-bar, gli scarichi aperti e le gomme slick. Dunque lo spettacolo dei giorni precedenti alla corsa era lo stesso che si vedeva in gara. Poi in quegli anni abitavo a una ventina di km da Monza e spesso si saltava scuola per andare a vedere i test di tante auto: GT, Formula e Turismo.

Perché il sedile di destra e non quello di sinistra?

Prima di prendere la patente ho corso un paio d’anni in kart. Avevo 16-17 anni, d’estate finito la scuola andavo a fare il cameriere e con i soldi mi sono comprato un kart e correvo. I soldi però erano sempre pochi e pesavo 10/15 kg più degli altri e in kart si faceva fatica a limare 2/3 decimi decisivi. Sempre in quegli anni correvo per la Nord Jolly una scuderia di Saronno dove gareggiavano molti rallysti. Frequentando la sede, in vecchio bar di provincia, mi sono ulteriormente incuriosito e ho fatto un corso per navigatori. Poi ho avuto la fortuna di correre subito con piloti veloci e quando ho vinto la mia prima Coppa Italia di Zona nel 1986 con Emilio Agostoni e la Renault 5 GT Turbo, ho deciso di provare a farlo diventare una professione alternando il lavoro di copilota a quello di logistico e direttore sportivo. Dopo qualche gara sul seggiolino di destra ho anche capito che andare veramente forte non era così facile.

Dall’85 fino ai giorni nostri ai potuto “assaggiare” diversi tipi di vetture, vivendo sulla tua pelle l’evoluzione tecnologica delle auto. Quale ricordi con più piacere e quale consegneresti per sempre alla storia dei rally?

Le auto sono come le donne mi piacciono tutte. Anche quelle meno belle hanno qualcosa di affascinante… Scherzi a parte il primo amore è stata la Renault 5 GT Turbo con la quale stavamo davanti anche a Porsche e 037 in discesa. Poi la Ford Sierra Cosworth (palettone) a trazione posteriore con 280 CV con la quale facevi dei traversi incredibili pur essendo una vettura gruppo N. Poi con la versione tre volumi 4×4 ho vinto un Campionato Italiano Gruppo N e un Sanremo mondiale (sempre di gruppo N). Era brutta ma velocissima. Poi ricordo con piacere la BMW M3 gruppo A con un motore da brividi. Ho corso anche con tutte le varie versioni di Lancia Delta ma non le ho mai amate perché erano abbastanza delicate sia le gruppo N sia le gruppo A ex ufficiali se non erano perfettamente rialzate. Ma se devo dare una preferenza sicuramenye la Subaru Legacy gruppo A. Veloce, robusta, spettacolare con un rumore pazzesco. Da “vecchio” sono riuscito a salire sulla 131 Abarth, la Delta S4 e la 037 al Rallylegend grazie a un caro amico e devo dire che quest’ultima mi ha stregato per guidabilità e trazione pur avendo solo 2 ruote motrici.

Di tanti anni da partecipante avrai visto tanti piloti dal grande potenziale non riuscire a far decollare la propria carriera. Chi ricordi particolarmente e ti piacerebbe far ricordare anche ai nostri lettori?

Sono veramente tanti ed è sempre difficile capire quando i limiti erano i loro o delle vetture. Tra quelli con i quali ho avuto il piacere di correre direi in parte Gianni Del Zoppo, frenato all’apice della sua maturità sportiva, ma veloce e con una grande intelligenza tattica. Ma ricordo con piacere anche qualche veloce terraiolo con cui ho corso come Gilberto Bertolini o Alex Broccoli. Tra quelli che potevano raccogliere di più se solo fossero nati in Finlandia sicuramente Carlo Capone, Andrea Zanussi, Franco Cunico, Andrea Navarra e più recentemente Gigi Galli, Luca Rossetti e Alessandro Bettega del quale ho una grande stima professionale anche se ha corso poco. Piloti che hanno sfiorato o goduto per poco tempo la vera ufficialità, ma che poi per ragioni diverse non hanno potuto lottare per il campionato del mondo.

Quale consiglio daresti a chi oggi sente di voler provare a costruirsi una carriera in questo sport? Sognare è ancora possibile?

Il motorismo ma specialmente i rally sono un’alchimia complessa. Innanzitutto bisogna saper cercare il budget per correre e sapersi vendere bene, a partire dalle pubbliche relazioni. Poi bisogna trovare un team serio, un navigatore di esperienza e cercare di correre il più possibile. Km, Km e ancora Km. Anche con una vettura dalle prestazioni modeste che hanno un costo inferiore. Dico sempre nei primi anni è meglio correre 3 rally con una macchina medio piccola che uno solo con una vettura d’assoluto. L’importante che le prime vetture siano robuste ed economica, anche in caso di incidenti. Per imparare bisogna poter sbagliare, ma se sbagliare costa troppo il gioco finisce presto. All’inizio bisogna appoggiarsi a chi conosce bene il settore è molto importante come è altrettanto importante avere l’umiltà di continuare a studiare per crescere in ogni direzione. Poi appena è possibile correre all’estero per farsi conoscere anche fuori i nostri confini. Il tutto supportato dalla giusta comunicazione per farsi conoscere dal grande pubblico. Per chiudere con la tua seconda domanda: io sogno ancora.

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Domande al giornalista di rally

Raccontare i rally è quello che ci appassiona e che ci ha permesso di conoscerci. Un ruolo non facile, in una minuscola nicchia capace di dare tante soddisfazioni in mezzo ad un mare di difficoltà. Che cosa non ti fa smettere?

A fine anno mi vengono sempre tanti dubbi e mi chiedo se vale la pena proseguire a fare lo zingaro. Degli anni ho seguito anche 30/40 corse e questo anno arriverò a 27/28. Poi dopo le vacanze arriva gennaio e comincio a contare i giorni che mancano alla ripresa dei campionati. Ho vissuto questo mondo svolgendo tanti ruoli per oltre 30 anni e mi sento in famiglia. Forse alla fine non saprei cosa fare nei fine settimana. Negli ultimi 15 anni ho lavorato principalmente nei giornali di prodotto (auto di serie) ma le corse su strada sono un’altra cosa. Dopo i canonici primi 5 giorni della settimana passati in redazione o a seguire le presentazioni delle auto per il mondo, il mio lavoro proseguiva nei week end sui campi gara. Non voglio fare il solito anziano ma forse lo spettacolo è un po’ calato rispetto a quando ho cominciato a seguire i rally, ma io mi diverto sempre. Anche se è faticoso fare km su km per godere di pochi secondi di adrenalina.

Televisione, carta stampata, web e social network. Quali sono le maggiori differenze del racconto di rally nelle diverse piattaforme di comunicazione che hai “cavalcato”? E in quale ti trovi più a tuo agio?

Penso la televisione, Le dirette TV e i riepiloghi serali di Eurosport dal 1999 al 2010, sono state fantastiche. Anche se si faceva tutto in studio da Milano, ricordo cha tornavo a casa alle 2 di notte e ci mettevo più di un’ora a prendere sonno perché ero ancora carico e pieno di adrenalina per quello che vedevo e raccontavo. Immagini fantastiche, produzioni video ricchissime, grandi duelli tra tanti campioni ma anche personaggi incredibili come Sainz, McRae, Burns, Makinen, Panizzi, Delecourt. Ancora adesso qualcuno mi chiede e vuole sapere qualcosa di quegli anni perché come me ha goduto di quelle trasmissioni. La carta mi piace ancora tanto. Mi piace toccarla, sfogliarla, leggere gli approfondimenti di chi vive le gare in prima linea e poi tenerla da parte. Anche gli stessi libri (a breve ne uscirà anche uno mio) ogni tanto li riprendo in mano e li rileggo perché risvegliano la memoria. Il web è fantastico ma è difficile da far bene. Tutto si brucia in un attimo e proprio perché si corre più veloci che in auto, spesso c’è poca attenzione nella gestione delle notizie; Ma quello che è fantastico della rete è la condivisione e l’opportunità di avere una visione veramente globale di quello che succede nel mondo.

Nei tuoi anni di carriera con la penna in mano qual è la storia che hai scritto con maggior soddisfazione? E quale la più difficile e che non avresti mai voluto dover firmare?

Faccio fatica a rispondere o meglio non vorrei sembrare banale. Seguire una gara e raccontarla può essere più o meno stimolante in base all’andamento della stessa. Dai protagonisti che ci corrono, dalla lotta sul filo dei secondi, dalle novità tecniche alle strategie delle squadre. Un Liatti che vince a Montecarlo nell’era delle prime WRC o che combatte fino all’ultima prova con McRae al Catalunya sono storie bellissime, come altrettanto emozionante vedere un Lappi che vince la gara di casa con una WRC Plus da pivello: Ma anche le sfide Andreucci, Basso, Scandola degli ultimi mesi o prima la sfida Cerrato e Zanussi, Lancia-Peugeot che si giocano l’Italiano all’ultima gara ad Aosta prima che escono i chiodi. La competizione è una droga alla quale non si scappa. Se poi sei anche tifoso ancora peggio. Le storie che non vorresti mai scrivere sono innanzitutto quelle dove devi parlare di un grave incidente, magari di un amico con il quale hai bevuto una birra la sera prima e il giorno dopo non c’è più. Una su tutte mi ricordo il tragico Salento di Loris Roggia. Ma anche situazioni meno tragiche dal punto di vista umano ma terribilmente negative da quello sportivo come i chiodi in una prova, il sabotaggio di una vettura al parco chiuso, l’interpretazione troppo smaliziata di un regolamento, il direttore sportivo di turno che penalizza un pilota. Tutte cose troppo lontane dal mio modo di vivere lo sport e la vita.

Nel nostro paese è diventato molto difficile far arrivare i rally al grande pubblico e l’ambiente stesso sembra far molta fatica ad adeguarsi al cambiamento imposto dalle nuove tecnologie e dai metodi di fruizione delle informazioni. Tutti parlano della necessità di abbracciare un pubblico più vasto ma poi anche i piccoli progetti come il nostro si scontrano con schemi organizzativi figli di un’epoca diversa. Qual è secondo te la ricetta per alimentare la fiammella dei rally in Italia?

Hai ragione è difficile. Noi probabilmente siamo anche troppo appassionati e vediamo il nostro sport come il migliore, ma poi dobbiamo fare i conti con il calcio, il ciclismo, il basket, la Formula 1 e tutti quegli sport dove ci sono dei personaggi che periodicamente svegliano l’interesse nazionale. Ad esempio mi viene in mente lo sci, il tennis, la scherma, l’atletica, dove ogni tanto sbocciano dei campioni che richiamano l’attenzione nazionale. Ecco nei rally ci manca da troppo tempo il personaggio, il grande pilota che diventa un campione internazionale, che faccia da volano alla specialità. Un Alex Zanardi per capirci meglio. Per quanto riguarda invece la comunicazione in generale stiamo vivendo dei cambiamenti epocali che non ci si sono mai proposti cosi velocemente in passato. Tanti temono quello che potrà succederà, perché non potranno più gestire quello che hanno fatto negli anni, nel bene e nel meno bene. Il movimento di denaro è sempre elevato e la lotta per gestirlo è molto ghiotta. Come sempre spero che il buon senso abbia la meglio e che il business legato alle nuove forme di comunicazione possa essere sfruttato completamente. Prima o poi i migliori devono emergere, ormai il terreno di battaglia è aperto e le regole le farà unicamente il consenso del pubblico e tutti noi ci dovremmo adeguare.

Domanda stupida o forse no: tra l’emozione di vivere una gara e raccontarla per emozionare qualcun altro, cosa scegli e perché?

Se per vivere una gara intendi correre ti dico che salire in auto e tirarsi le cinture prima del semaforo diventi verde è fantastico. Ho anche ricordi molto belli vissuti in prima linea come direttore sportivo o addetto stampa perché ci sono momenti per fare alcune cose e altri per farne di diverse. Raccontare le gare agli altri è altrettanto appagante anche se negli ultimi anni mi accorgo che una parte del pubblico ha un approccio più superficiale e polemico. A loro discolpa penso che con l’accavallarsi di mille regolamenti, campionati e classifiche troppo complesse raccontare con chiarezza questo sport è diventato quasi impossibile e a volte noioso.

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