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Miki Biasion non solo un pilota di rally

L'ardua sfida di raccontare qualcosa di troppo grande

Fermarmi a fare il solito articolo dove si racconta la storia di un grande del nostro sport mi pareva onestamente banale e superfluo davanti al nome Miki Biasion. Troppo importante l’immagine nei miei pensieri per cercare di rappresentarla a parole mediante un palmares. Serve qualcosa in più, qualcosa che proverò a descrivere. Scusandomi anticipatamente se non sarò riuscito a rendergli il giusto onore

Già perché Massimo “Miki” Biasion, nato a Bassano del Grappa il 7 gennaio 1958 ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi qualcosa di irripetibile nella storia delle quattro ruote italiane.

Erano gli anni dove per far bene nel mondo dei rally bisogna essere capaci di rapportarsi con l’Italia e le sue forze. Lancia insegnava tecnologia ed evoluzione al mondo dei rally e c’erano tutte le condizioni per creare una scuola di piloti che aveva trovato in Miki la sua punta di diamante. Abbastanza giovane da poter garantire una prospettiva medio-lunga e abbastanza esperto da non far finire tutto schiacciato dalla pressione di un progetto ambizioso ed importante.

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Si veniva dagli anni bui e difficili delle Gruppo B, conclusosi nel modo più tragico e difficile da digerire. C’era tanto bisogno di “cambiare clima” attorno al mondo dei rally tanto nel nostro paese quanto in ogni angolo del pianeta. Biasion rappresentava quanto di meglio ci potesse essere sulla piazza: un pilota forte, consistente e incredibilmente veloce, con il “fucile” sempre carico di sorrisi ed ironia. L’ideale per far innamorare nuovamente la gente di uno sport tanto affascinante quanto crudele.

Negli anni in cui Biasion e Lancia conquistavano la vetta del mondo, io muovevo i miei primi passi e non posso di certo avere ricordi. Ma è questo che rende ancora più grande e mirabolante il racconto: una storia talmente bella ed avvincente da averla ascoltata decine e decine di volte da decine e decine di bocche di appassionati, tanto da pensare di averla vista davvero coi miei occhi.

Perché non si trattava della carriera di un pilota qualunque su una macchina qualunque. C’era una nazione intera in ogni cavalcata trionfale (memorabile la stagione 1988, finita per ben cinque volte sul gradino più alto del podio), così com’era una nazione intera a festeggiare due titoli mondiali che attendono ancora un successore degno. Non era solo sport, era orgoglio di essere italiani. Un orgoglio che abbiamo fatto fatica a riprovare nel nostro sport e che in modo così intenso abbiamo rivissuto poche volte anche in altri.

Un sentimento intenso che porta il nome di Miki Biasion su Lancia, che di traverso sulle strade di tutto il mondo disegnavano sorrisi sulle facce degli appassionati.

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