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Imprese leggendarie: quando Subaru fece correre McRae al Safari sulla Vivio

Una storia che proviene dal 1993, tutta da vivere...

Correva l’anno 1993, ed anche in casa Subaru si avvicinava il mitico Rally Safari. Un gara atipica, un ibrido tra un rally e un raid ma anche la tappa più impegnativa del mondiale, sia per i piloti, che per le vetture.

Durante le primissime gare della stagione il funambolico scozzese Colin McRae aveva raccolto un terzo posto in Svezia ed un settimo in Portogallo, trovandosi dopo due appuntamenti ben piazzato nella classifica piloti a bordo della sua Subaru Legacy RS 555. La classifica costruttori, perònon sorrideva così tanto alla casa delle pleiadi, con Markku Alen che avrebbe gareggiato in Kenya con Toyota, e con il solo McRae unica certezza di continuità (che poi la parola continuità accostata al Colin McRae delle prime stagioni fa proprio sorridere).

Se sul fronte piloti le cose non andavano bene, in Prodrive non andavano meglio in quanto non era ancora pronto nessun esemplare della Legacy con specifice Safari.

Tuttavia, l‘anno precedente alla Parigi – Pechino aveva partecipato un esemplare rally-raid della piccola Vivio che, nonostante un precoce ritiro, aveva impressionato i vertici Subaru che decisero, per promuovere la loro piccola utilitaria 4×4 per correre la corsa più massacrante del mondiale rally. McRae avrebbe corso a bordo di una Subaru Vivio 4X4, preparata ad hoc con solo 85cv di potenza.

Gli furono affiancati, allora, altri due piloti: Il primo fu il locale Patrick Njiru, molto esperto di gare del genere, campione Kenyano 1990, e il giapponese Masashi Ishida, che faceva parte della parte promozionale dell‘evento.

LA GARA

Oltre 2000km di prove speciali,  e 44 equipaggi iscritti, tra i quali spiccavano le quattro Toyota Celica ST185 GR.A ufficiali (affidate a Kankkunen ed Alèn, all’esperto kenyano Ian Duncan, ed al nipponico Yasuhiro Iwase), le tre Subaru Vivio 4X4 ufficiali, le due Audi (S2 e 90 Quattro GR.A) di Rudolf e Manfred Stohl (padre e figlio), e la Mitsubishi Lancer Evo 1 ufficiale affidata al giapponese Kenjiro Shinozuka.

La gara inizia l‘8 Aprile 1993, ma fin dalla prima prova sembra a senso unico, con i primi quattro posti occupati dalle Toyota Celica del team nippo-tedesco Toyota Team Europe.
Quinta è, invece, la Lancer del nipponico Shinozuka, mentre per le Subaru Vivio è disfatta totale: Colin Mcrae occupava durante i primi checkpoint la quarta posizione assoluta, salvo poi danneggiare una sospensione in un guado, concludendo la giornata con un ritardo tale da non consentirgli di proseguire. Non più fortunato l’altro pilota Subaru Masashi Ishida: costretto al ritiro a causa della rottura del motore. 
Dopo solamente una giornata di gara, dunque, di Subaru Vivio ufficiali ne rimaneva solamente una, quella del locale Njiru, situato in dodicesima posizione su 33 sopravvissuti alle tostissime strade africane.

Nella seconda giornata, continua la “parata” Toyota, con Shinozuka ad inseguire, fino al suo ritiro il giorno successivo, che lascia al TTE un poker assoluto.

Nelle giornate successive, di azione ne è accaduta ben poca, con le Toyota che hanno congelato le posizioni portando Juha Kankkunen a vincere per la terza volta il Rally Safari, nell’anno in cui porterà a casa anche il suo quarto titolo mondiale, davanti ad Alen (staccato di 9 minuti), e Duncan (distante di ben 1h 30′).

L‘ultima delle piccole Vivio, ha invece sorprendentemnte resistito a tutti i 2000km ed  ha concluso in dodicesima posizione assoluta, prima di classe A5, a 9h11′ dalla vetta finale.

Un’altra Vivio, ma privata, affidata al messicano Francisco Villasenor, ha concluso la gara, in quindicesima posizione assoluta e seconda di classe A5, nonostante le ore pagate rispetto a Kankkunen siano state ben 14h23′.

Un’impresa, anzi due, insomma, per la piccola Subaru, che seppur non riuscendo a portare a termine la gara con Colin McRae, è riuscita a resistere ad oltre 2000km immersa nel fango, tra le buche e le interperie kenyote.

Fin da lì, comunque, da quelle prime esperienze mondiali, si intuì l’indole del giovane scozzese che nel 1995 si laureerà campione del mondo, vincendo 25 gare della massima serie del globo, ma soprattutto, divenendo icona immortale del nostro splendido sport.

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