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CIR 2019 e quel “piacevole” senso di confusione

Rivoluzioni in atto e voci che si rincorrono stanno rendendo avvincente l'inverno del nostro campionato nazionale

Diciamoci la verità: non eravamo più abituati. Nelle stagioni passate il CIR di questi tempi viveva un grandissimo letargo e prima di febbraio inoltrato era molto difficile sentir parlare di grandi cambiamenti e nuove prospettive e questo aveva un po’ spento anche l’entusiasmo da parte dei tifosi. Quest’anno siamo di fronte ad un’aria completamente diversa e, nonostante parecchia confusione, non possiamo che vedere in modo positivo tutto questo movimento. Ma cerchiamo di capire le origini di questo cambiamento e gli effetti che potrebbe avere sul CIR 2019.

La rivoluzione tra le case costruttrici

Il detonatore è sicuramente questo. Il pensionamento della Peugeot 208 R5 T16 e la fase di stallo per la Ford Fiesta R5, uniti all’ascesa dei progetti R5 di Hyundai e Citroen e ad una posizione sempre più consolidata di Skoda nel mercato dei privati, hanno portato grandi scossoni in termini organizzativi nei diversi team che negli ultimi anni hanno caratterizzato il nostro campionato interno. Nello specifico si sono mosse due pedine che erano punti cardine (Peugeot – Andreucci, Skoda – Scandola) e questo ha mosso prepotentemente lo scacchiere di team e piloti con tante situazioni ancora da decifrare. E non dimentichiamo che c’è anche Polo Volkswagen che ha dimostrato grande potenziale e presto inizierà la vendita capillare dei suoi esemplari di R5.

Outsider con tanta voglia di tornare protagonisti

Senza girarci intorno: Basso e Rossetti. Hanno lavorato bene nelle ultime stagioni ma con occasioni piuttosto limitate di mettersi in mostra (spesso ben sfruttate). Quando ci sono stati hanno saputo farsi sentire, con risultati importanti e prestazioni sempre di altissimo livello, e questa rivoluzione in atto li ha riportati prepotentemente in auge. Perché questi progetti emergenti hanno sicuramente voglia di provare ad investire sul nostro campionato ma con l’obiettivo di vincere subito. E per farlo vanno alla ricerca di certezze al volante, più che di scommesse.

Il format non piace ad alcuni ma attira tanti

Ci siamo già espressi sul nuovo calendario che ha escluso la terra del centro Italia per far spazio alla Sardegna e ad una nuova avventura in Toscana ma sempre privilegiando le gare su asfalto. I pareri sono stati discordanti, con diverse richieste (inascoltate) di passare al 4+4 e parecchio dibattito. Tuttavia privilegiare gare su asfalto dai costi sicuramente più ridotti porta più progetti privati a voler tentare la strada del campionato italiano rally, anche solo per apparire in 1-2 gare. Si torna addirittura a parlare della possibilità di seconde macchine per alcuni team, privilegio di pochi negli ultimi 5 anni. A pagare sicuramente è la terra, messa ancora di più ai margini, ma proviamo ad essere positivi e a pensare che con San Marino e Adriatico nel CIRT si possa provare ad alzare il livello del campionato riservato a fumo e polvere.

E i giovani?

A quanto pare qualche novità c’è anche per loro, con diversi cambiamenti nello Junior. Naturalmente in tanti richiedevano un cambio generazionale tra le prime guide ma c’è da ammettere, senza troppe remore, che i nostri piloti più esperti e conosciuti sono ancora i più competitivi del lotto. Non siamo noi a dirlo ma sono i numeri a dimostrarlo e, con tutta la buona volontà e le buone intenzioni, i team investono volentieri su chi offre maggiori possibilità di far rientrare questi investimenti.

Chi non si sente più rappresentato pensa all’estero

E da ultimo c’è pure chi probabilmente ha scelto di abbandonare il format, non più contento di farne parte a certe condizioni o semplicemente non più in grado di rientrare in qualche progetto competitivo per ragioni sportive o di budget. L’effetto collaterale di questa decisione è quella di provare a guardarsi intorno, tentando di capire se ci sono margini per tentare qualche bella esperienza all’estero tra WRC2 ed ERC che sono diventati molto più abbordabili ed appetibili. E questo non è di certo un male.

Insomma, rischiamo di fare la figura dei troppo ottimisti volentieri davanti a queste prospettive di “rinnovamento” e grande cambiamento che, se non altro, ha il merito di aver alzato di prepotenza il livello di attenzione di appassionati, sponsor e addetti ai lavori.

La speranza è che tutte queste aspettative mantengano le premesse e che non ci ritroviamo tra due mesetti scarsi al Ciocco a raccontarci di quel che poteva essere ma non è stato.

 

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