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Jutta Kleinschmidt: la regina del deserto

La storia dell’unica donna a conquistare la Dakar

Jutta Kleinschmidt nasce a Colonia il 29 agosto 1962 ma si trasferisce ben presto a Berchtesgaden in Baviera. Nel 1988 si laurea in ingegneria fisica alla Isny University of Applied Science. L’anno seguente viene assunta dalla BMW nel reparto di sviluppo veicoli della casa. La passione per le corse però è troppo grande e, nel 1993, Jutta decide di licenziarsi per seguire a tempo pieno il suo sogno.

Partecipa ai grandi raid come il Rallye dei Faraoni e la Parigi-Dakar vincendo e dominando a più riprese la categoria femminile e ben figurando anche contro i colleghi uomini. Sempre nel ’93 fa la sua prima apparizione a bordo di un’auto in un rally-raid. In quell’occasione è la co-pilota di Jean-Louis Schlesser al UAE Desert Challenge. 

Nel 1995 la Kleinschmidt passa alle quattro ruote ottenendo un 12esimo posto assoluto. Negli anni a seguire corre per il team dell’allora fidanzato Schlesser e, nel 1997, ottiene le prime due vittorie di tappa alla Dakar, prima volta in assoluto per una donna. La relazione tra Jutta e Schlesser precipita fino a giungere alla rottura, proprio in mezzo al deserto del Sahara, nel 1998. Nonostante ciò, la Kleinschmidt, nella Dakar di quell’anno dà prova di grande sportività e quando vede il buggy dell’ormai ex compagno naufragare nelle acque dell’oceano Atlantico a pochi chilometri dall’arrivo lo soccorre.

Nel 1999, visto anche i rapporti poco amichevoli con Schlesser, cambia casacca e passa alla Mitsubishi. Le sue doti di pilota e la sua esperienza da ingegnere vengono molto apprezzate. Jutta domina la Dakar dalla terza alla quinta e tappa e riesce a conquistare il terzo gradino del podio assoluto all’arrivo sulle spiagge della capitale senegalese.

Il 2000 è un anno di transizione, con buoni risultati (un quinto posto alla Dakar e un quarto alla Rally del Marocco più altri piazzamenti) ma dove le manca sempre quel guizzo in più che serve per raggiungere la vetta della classifica finale. 

La vera svolta arriva nel 2001. La Dakar di quell’anno prevede un percorso di 10˙219 km di cui 6˙180 cronometrati ripartiti in venti tappe. Sin dall’inizio si capisce che la corsa è un affare a due tra la Mitsubishi e il team francese Schlesser con i suoi buggy motorizzati Renault.  I nomi di rilievo sono molti, a partire dallo stesso Schlesser, vincitore delle precedenti due edizioni, che assume Servia come compagno di squadra. Oltre a loro Jutta Kleinschmidt ha avversari temutissimi anche in casa: Fontenay, Shinozuka e Masuoka per citarne alcuni.

I buggy di Schlesser e Servia partono fortissimo nelle tappe europee ma anche loro trovano pane per i loro denti nelle spiagge di Almeria. Sulle coste spagnole, infatti, rimangono attardati molti concorrenti tra cui il già citato Schlesser e il giapponese Shinozuka. Giunti in Africa, la carovana procede senza particolari colpi di scena fino alla settima tappa quando, ancora una volta, troviamo protagonista Jean-Louis Schlesser costretto a farsi aiutare a spingere la propria auto all’interno della zona del controllo orario. La penalità acuminatagli sarà di un’ora. In testa alla classifica generale rimangono così Masuoka e Servia con la Kleinschmidt distanziata alle loro spalle

Il francese comunque non si arrende e anche grazie a una foratura che fa attardare Masuoka torna in lizza per la vittoria. Mancano poche tappe alla fine e la lotta è più aperta che mai. Purtroppo però, la sportività non la fa da padrona, e la stessa Jutta se ne rende protagonista non lasciando passare Schlesser nelle strette strade sterrate senegalesi. Jean-Louis non la prende bene e il giorno dopo decide di anticipare la sua partenza e quella di Servia in modo di rallentare Masuoka che è in testa alla classifica provvisoria. Servia si ritrova così nel ruolo di scudiero e blocca il giapponese alle sue spalle. Masuoka decide di tentare il tutto per tutto e passa Servia dove il terreno non è battuto. Il sorpasso riesce ma poco dopo il giapponese è costretto ad alzare bandiera bianca per colpa della rottura della sospensione posteriore avvenuta durante la lotta. 

La commissione decide di penalizzare Schlesser e Servia per comportamento antisportivo e questo permette a Jutta di diventare la prima e, finora, unica donna a vincere la Dakar.

Quello stesso anno la Kleinschmidt ottiene anche un prestigioso secondo posto al massacrante Rallye del Marocco e altri podi nei più importanti raid del mondo. Restando in tema Dakar sarà medaglia d’argento l’anno successivo sempre con il navigatore Andreas Schulz mentre, nel 2004, passerà in Volkswagen per sviluppare la Touareg e otterrà un altro podio nel 2005 con la torinese Fabrizia Pons alle note.

Jutta, come detto rimane, finora l’unica donna vincitrice di una Dakar. Le cose potrebbero, però, cambiare proprio quest’anno, almeno per quanto riguarda la categoria side by side. La fortissima, Cristina Gutiérrez ha appena conquistato il titolo del mondo e ha già dimostrato a più riprese di essere un osso duro (unica altra donna oltre alla Kleinschmidt a vincere una stage alla Dakar). Un occhio di riguardo nell’edizione 2022 anche a Laia Sanz che per la prima volta nella sua carriera affronterà le sabbie del deserto con un auto e all’australiana Molly Taylor. Tutte e tre hanno partecipato all’Extreme E con compagni di squadra del calibro di Carlos Sainz, Sébastian Loeb e Johan Kristoffersson e tutte e tre, quindi, hanno corso contro Jutta Kleinschmidt. 

Chissà che magari non si possano ripetere gli exploit del passato e che si riveda, finalmente, dopo più di vent’anni, una donna sul gradino più alto del podio della gara più bella del mondo.

 

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