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Tempo

4 MIN

Dakar 2020 – L’analisi della 42° edizione

La 42° edizione della Dakar si è ufficialmente chiusa da pochi minuti a Qiddiya ed è arrivato il momento di tirare le somme di questa prima maratona saudita.

Che ha vinto Carlos Sainz lo si sa già, lo si sapeva da stamattina presto, anzi, lo si sapeva già da quando è stato deciso di accorciare l’ultima tappa a soli 166 chilometri, e per giunta senza alcuna insidia. Tanti, se sei al via di un rally, ma decisamente pochi se sei all’ultima giornata di una Dakar. Alla fine l’ultima tappa è stata quasi una parata come era tradizione molti anni fa, quando ancora si chiamava Parigi-Dakar e i distacchi, alla fine, erano solitamente abissali.

La cronaca della tappa di oggi, per quanto possa essere rilevante, ha visto vincere Nasser Al-Attiyah, seguito dal sempre veloce pilota locale Yasir Seaidan e dall’ottimo argentino Orlando Terranova. Sainz, che dall’alto del suo vantaggio di oltre 10 minuti non aveva alcun interesse a spingere, ha chiuso sesto di giornata, regalando meno di 4 minuti ad Al-Attiyah, secondo nella generale, e assicurandosi la vittoria assoluta.

Terzo assoluto Stephane Peterhansel, che conquista l’ennesimo podio nella maratona automobilistica per eccellenza. Dietro di lui il primo dei sauditi, Yazeed Al Rajhi e via via tutti gli altri con Fernando Alonso che, nonostante il rovinoso incidente di 2 giorni fa, alla fine incassa un 13° assoluto e il successo tra i rookie.

L’unico equipaggio tricolore rimasto in gara, Schiumarini e Gaspari, dopo aver patito diverse rotture durante la gara, ha completato la gara al 53° posto. Andrea, prima della gara, ci aveva confidato che il suo obiettivo era quello di migliorare il piazzamento del 2019. Adesso possiamo ufficialmente confermare che c’è riuscito, seppure per un soffio, visto che l’anno scorso aveva chiuso 54°.

Espletata la doverosa cronaca di questa ultima giornata, vorrei anche tirare le somme di quella che è stata la Dakar 2020 e quali sensazioni mi ha lasciato (poi mi farà piacere se vorrete condividere con me le vostre). 

Al fatto che la Dakar sia ormai da tempo costretta a cambiare nazione e continente siamo ormai abituati e non ci fa più quell’effetto di lesa maestà che ci fu ai tempi dello sbarco in America Latina. Possiamo, anzi, tranquillamente affermare che la Dakar è una migrante (poi scegliete voi se sia una “rifugiata” o una “migrante economica”). Migra per sopravvivere: cambiare o morire. Una volta accettato questo dato di fatto, si può iniziare a valutare con maggiore serenità l’edizione 2020, la prima in Arabia Saudita.

L’Arabia Saudita è una terra con potenzialità e scenari incredibili, che rispecchiano a pieno lo spirito della storica Dakar ma, almeno in questa prima edizione, di questo grosso potenziale si è visto ben pocoCi sono dune altissime, distese di sabbia di tutti i tipi, ma di dune vere sul percorso se ne sono viste poche e la vera selezione l’hanno fatta le grandi pietre che hanno fatto una strage tra pneumatici e sospensioni. Avevano promesso una navigazione difficilissima, ma, solo in un paio di tappe la navigazione ha fatto la differenza, molto meno, anche in questo caso, delle pietre.  Diciamo che il tracciato, studiato per toccare idealmente tutti i capisaldi della nazione, è stato disegnato più sulla base della prudenza che dell’avventura.

L’organizzazione poi ha dovuto combattere con l’avversità che hanno in quel luogo verso le macchine fotografiche e le telecamere. In pratica spesso e volentieri i fotografi si sono dovuti “ammucchiare” nelle zone a loro dedicate dalle forze dell’ordine, magari in punti banali, e avevano meno libertà di movimento dei semplici spettatori (alcuni fotografi hanno infatti nascosto le pettorine, trovando più facile far finta di essere spettatori).  Se vi sembra poco pensate all’ultima tappa, accorciata di oltre la metà in quanto, altrimenti, i concorrenti sarebbero passati troppo vicino ad un gasdotto in costruzione. Ora, dato che i gasdotti non compaiono improvvisamente, forse la cosa poteva essere studiata prima e affrontata per tempo… no?

Tuttavia, a parte questi piccoli incidenti di percorso, la Dakar è sempre una corsa bellissima, una delle più affascinanti al mondo e l’unica che continua a conservare quello spirito di avventura che, anziché dividere i concorrenti rivali, li unisce. Ne è prova il fatto che a portare Carlos Sainz sulle spalle subito dopo il traguardo siano stati Stephane Peterhansel e Nasser Al-Attiyah, e ne è prova il fatto che il solo arrivare è già un grande successoPer questi motivi la Dakar sarà sempre un grande evento e, da domani, tutti i concorrenti inizieranno a pensare alla Dakar 2021!

Foto credit: A.S.O. DPPI F.Le Floc’h

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