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Fabrizia Pons. Il Rally tinto di rosa

Intervista esclusiva con la celebre navigatrice italiana che ha scritto pagine importanti della storia dei rally

Chi lo ha detto che il rally è uno sport per soli uomini? Ma, soprattutto, chi lo ha detto che una donna non possa lasciare una traccia rilevante nella storia d’una delle declinazioni più affascinanti e più complete dell’automobilismo sportivo?

In Italia, un nome, sopra tutti, sta proprio lì a testimoniare che il rally possa non solo tingersi di rosa, ma pure con pieno diritto ad andarne fieri: Fabrizia Pons.
Nata a Torino sessantotto primavere fa, Fabrizia può essere paragonata ad un luminosissimo corpo astrale incastonato nella volta della storia del rally. E non solo per la quantità di gloria accumulata in un passato in cui le quattro ruote agonistiche non godevano delle garanzie di sicurezza oggi in vigore, correndo si sfidava crudamente ogni limite, compreso quello di una facile morte in battaglia. Ma pure perché è stata proprio lei la prima donna che, in Italia, ha annientato quel mito che voleva il mondo dei motori appannaggio esclusivo dell’uomo in quanto maschio, e, come tale, fornito di quel coraggio e di quelle doti d’istinto che, nell’altro sesso, potevano solo scarseggiare.
Coerentemente al fenomeno che rappresenta a pieno titolo, pur circondata dall’affetto dei suoi figli e dei suoi nipotini, Fabrizia Pons è tutt’ora attiva nell’ambito delle corse, a dimostrazione che un vero mito non va mai in pensione.

Classe 1955, oltre duecento gare, quasi novanta Mondiali disputati da co-pilota. Non è comune che una donna provi una tale attrazione per il mondo delle competizioni automobilistiche, al punto da diventarne una storica protagonista. Fabrizia, parlaci di te … quando e come nasce la tua passione per il rally, o, se vuoi, prim’ancora, per la realtà dei motori?

Ho cominciato a correre nel motocross nel 1971, passando dall’Aspes 50 all’Ancillotti 125 e, infine, al Maico 250, prima a testa quadra, poi a testa radiale. Con i rally ho cominciato da pilota, nel 1976, con una Autobianchi A112, per poi proseguire con una Opel Kadett gruppo 1, e, per ultima, con un’altra Kadett, ma, questa volta, ufficiale Opel Italia. L’anno successivo, non avendo trovato un’auto adatta alle mie caratteristiche di pilota, decisi di smettere. Ma per poco: dopo due settimane, Lucky mi chiese di navigarlo al Targa Florio, prima con la Ritmo gruppo 2, e, subito dopo, con una Fiat 131 Abarth. Negli anni ’79 ed ’80, vincemmo parecchie gare e ci aggiudicammo la Mitropa Cup.

Nel 1981, cominciò il sodalizio con Audi e Michèle Mouton, con la quale vincemmo quattro gare del Mondiale rally. Nel 1986, appeso il casco al chiodo, mi sposo e arrivano i miei due figli, Ludovico ed Elisabetta. Il mio stop dura poco: alla telefonata di Giorgio Tessore che mi chiede di partecipare ad alcuni rally storici con la Lotus Elan, non ho saputo dire di no. Due anni di grande divertimento e bellissime gare. Poi, ancora una svolta nella mia carriera: leggo che Bruno Berglund vuole smettere di correre e così scrivo una lettera ad Ari Vatanen, proponendomi come sostituta. E, pazzesco, lui è entusiasta. Così, mi ritrovo nuovamente nel Mondiale con Ari dopo aver disputato tre gare, vincendone due, con Piero Longhi, ‘94 e ‘95 con Ari, nel team Ford ufficiale nei rally ed in quello Citroen nei raids. Nel ‘96, non avendo Ari un programma definito, accetto la proposta Subaru di correre con Piero Liatti. Nostra è la prima vittoria di una WRC, al Montecarlo del ‘97. A fine ’98, arriva l’ennesimo stop per motivi familiari. Gli anni successivi mi vedono alla partenza di poche gare. Dal 2003 al 2007 ho lavorato per la Volkswagen nei raids, quattro anni con Jutta Kleinschmidt ed uno con Vatanen. Miglior risultato terze alla Dakar 2005. Nel 2014, ritorno a correre con il mitico Lucky nei rally storici. Dove corro ancora adesso. Tante, tante vittorie nelle singole gare e nei campionati, sia in quelli italiani che nell’europeo.

Solitamente, le discipline automobilistiche sono associate all’uomo, considerando il carattere “maschio” o, come dire, “virile” della guida sportiva. A maggior ragione, in un’epoca, quella dell’attivo di Fabrizia Pons, dov’era continuamente in auge il mito maschile delle corse al volante … cosa ha significato per te rappresentare un’eccezione alla regola? 

Non ho mai giudicato gli sport motoristici con le quattro ruote terreno maschile. Anzi. Non posso valutare le gare in pista, ma nei rally la forza fisica non ha importanza, mentre la resistenza e la concentrazione sono importantissime. Da qui, ho sempre trovato normalissimo che un equipaggio femminile potesse raggiungere i risultati che abbiamo raggiunto noi. Mi dispiace che, ad oggi, siamo rimaste le uniche e che nessuno abbia seguito la nostra strada. 

Nel tuo caso, il famoso luogo comune “donna al volante, pericolo costante” può essere letto solo nel senso opposto. Il pericolo, nella vulgata collegato ad una donna per le sue decisioni in auto e insito nel genere di competizione, non è per gli altri, ma, innanzitutto, per la tua persona, che, a certe forsennate velocità, sei andata incontro a rischi notevoli per la tua sicurezza. Cosa provavi a quelle velocità? Hai mai avuto paura per te stessa? Qual era la molla che ti ha fatto perseverare senza mai dubitare o retrocedere?

Sembra paradossale, ma posso dire di aver preso qualche bello spavento, ma paura vera e propria no! Se no, avrei già smesso!!!

Dell’intera tua carriera, c’è, sopra tanti, un aneddoto che ricordi con più vivo piacere?

Sì, essere arrivate prime alla fine della prima lunghissima tappa del Safari del 1983, anche se, poi, l’abbiamo terminato solo terze. Partecipare al Safari è stato il mio sogno irraggiungibile, ed essere in testa mi ha veramente resa felice.

Un giorno, il pilota finnico Ari Vatanen ha dichiarato: “è stata pura gioia lavorare con Fabrizia. Forse avevo bisogno di questa esperienza per apprezzare cosa significasse avere un navigatore donna, che chiama le note in toni dolci che hanno un effetto decisamente rilassante per la pace mentale di un pilota!”. Ritieni che, in termini psicologici, un navigatore donna sia così in grado di offrire di più rispetto ad un uomo? 

Difficile generalizzare. Penso che una donna sia, generalmente parlando, più calma e concentrata di un uomo. Ma, forse, mi sbaglio.

Un episodio, sopra gli altri, racconta di quanto il genere femminile non abbia assolutamente alcunché da invidiare a quello maschile. Un episodio che riecheggia l’impresa di Aloha Wanderwell, la nordamericana che, nel 1922, ancora giovanissima, divenne la prima donna a fare il giro del mondo a bordo di un’automobile, una Ford Model T. Un episodio che rimarrà indimenticabile nella storia del rally, perché vide due donne, la francese Michelle Mouton come pilota e l’italiana Fabrizia Pons come navigatrice, stabilire un primato assoluto vincendo la tappa di Montecarlo nel 1981. Quel primato, poi, sarà consolidato negli anni successivi, con una carica di podi ancor oggi ineguagliata da altri equipaggi in rosa. Cosa ti rimane oggi di quell’esperienza gloriosa e assolutamente unica? Quanta consapevolezza c’è in te, di quanto d’eroico vi fosse in una coppia di donne capace di sfidare e mettere in seria crisi l’orgoglio degli uomini in un campo, quello sportivo dei motori, tradizionalmente appannaggio di quelli?

Sinceramente, mi sono resa conto di quanto speciale sia stata quella vittoria al Sanremo solo anni dopo. Dopo la vittoria, avevo da organizzare le ricognizioni per la Corsica e non avevo tempo di auto congratularmi per quanto successo. Sì, certo, avevo capito che era stato qualcosa di particolare per le centinaia di telegrammi ricevuti e le decine, forse centinaia, di mazzi di fiori. Ma, ripeto, non ho avuto tempo di soffermarmi sull’accaduto. Io, da sempre, guardo avanti, poco indietro. Dopo anni, dopo la quantità pazzesca di domande su quella gara, ho capito.

Se ripensi all’intero tuo passato di navigatrice, cosa rimpiangi? Se potessi tornare indietro, ci sarebbe qualcosa che faresti diversamente o, addirittura, eviteresti?

Non ho rimpianti e non tornerei indietro di un solo giorno. Vorrei, però, in futuro, fare più gare con le vetture moderne.

C’è una co-pilota dei giorni odierni in cui ti vedi riflessa, o che, in qualche modo, potrebbe raccogliere la tua eredità?

Non ne ho idea, non seguo a sufficienza le gare degli altri.

Chi è oggi Fabrizia Pons? Quali sono i tuoi impegni? A cosa ti dedichi maggiormente?

Oggi continuo ancora a correre e, quando sono a casa, sono felicemente nonna a tempo pieno.

Quale sarebbe il primo consiglio che affideresti ad una giovane donna attirata dal pianeta del rally e desiderosa di diventarne prim’attrice?

Direi, prima di tutto, che è importante conoscere bene i regolamenti, parlare perfettamente l’inglese se volesse farsi strada nei rally, francese invece nel mondo dei raids. E avere tanta, tanta passione, non calcolando le notti passate sui quaderni delle note o sui radar. Oggi è tutto più facile di quando si dovevano pianificare le assistenze, le gomme, la benzina, le ricognizioni …

Photo Credit: Lothar Bökamp // ANTRIEB.MEDIA
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