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WRC – Paragoni che non fanno bene al Rally d’Arabia Saudita

La “Moon Stage” promette spettacolo, ma il rischio è di forzare confronti con prove che hanno fatto la storia

L’attesa per il debutto del Rally d’Arabia Saudita, in programma a fine novembre, cresce di giorno in giorno. L’evento mediorientale porterà nel Mondiale WRC scenari inediti, capaci di mescolare montagne, deserti e un contesto culturale del tutto nuovo. La curiosità è tanta, e non mancano voci entusiaste sulle potenzialità di questo nuovo palcoscenico.

Tra gli osservatori più attenti c’è Jérôme Roussel della FIA, che ha seguito da vicino lo sviluppo del percorso e che non ha esitato a indicare la Moon Stage come una prova con il potenziale per diventare “iconica” al pari di giganti della storia dei rally come El Condor o il Giulio Cesare in Argentina.

«È una strada che può diventare iconica quanto Giulio Cesare ed El Condor: porterà qualcosa di speciale al campionato», ha spiegato Roussel in un’intervista riportata da DirtFish.

La bellezza della novità

Nessuno mette in dubbio che il rally saudita porterà qualcosa di “fresco” nel calendario WRC. Gli scenari sono unici, con strade che si snodano tra montagne aride e tratti desertici delimitati da bandierine, quasi a rievocare le porte dello sci alpino. Un’immagine suggestiva e mai vista prima, che ha il merito di ampliare ulteriormente la varietà di superfici e contesti che da sempre caratterizzano il Mondiale.

La Moon Stage, in particolare, ha già catturato l’attenzione: un tratto che promette spettacolo visivo e tecnico, diverso dalle classiche prove europee su sterrato e dagli scenari sudamericani. La FIA e gli organizzatori stanno investendo molto per garantire sicurezza e qualità, arrivando persino a costruire ex novo alcune strade e ad installare protezioni in punti sensibili pur di dare all’evento la dignità che merita.

I paragoni azzardati

Eppure, c’è un confine sottile tra il desiderio di valorizzare una novità e il rischio di forzare paragoni con il passato. El Condor, Giulio Cesare, Ouninpohja non sono diventati “iconici” perché qualcuno lo ha deciso a tavolino: lo sono diventati grazie a decenni di storia, imprese leggendarie e episodi scolpiti nella memoria collettiva degli appassionati.

Accostare già oggi la Moon Stage a quei mostri sacri può rivelarsi controproducente. Non solo perché rischia di generare aspettative eccessive, ma anche perché mette sulle spalle dell’evento un peso che, alla sua prima edizione, è semplicemente impossibile sostenere. La strada per l’iconicità passa da ciò che accade in gara: sfide al limite, colpi di scena, duelli e storie capaci di attraversare il tempo.

Il potenziale c’è, ma serve tempo

Il Rally d’Arabia Saudita ha le carte in regola (e le disponibilità economiche) per diventare un appuntamento importante del calendario . Ma le prove “iconiche” non si costruiscono con le dichiarazioni: hanno bisogno di tempo, di memorie, di grande pubblico e di eroi che riescano a legare il proprio nome a quelle strade.

In questo senso, il rally saudita avrà la possibilità di scrivere la propria storia, senza rincorrere quella di altri. I paragoni con eventi che hanno fatto la leggenda del WRC, oggi, rischiano solo di distrarre dalla vera novità: portare il Mondiale su un terreno che promette di essere unico, con prove che – se lo meritano in speciale, non nei comunicati – potranno guadagnarsi un posto nell’immaginario collettivo.

Il consiglio è semplice: lasciamo che la Moon Stage, e tutto il Rally d’Arabia Saudita, parlino da soli. Per i paragoni con il passato ci sarà tempo.

 

Fonti: intervista e analisi di David Evans su DirtFish; dichiarazioni FIA/Jérôme Roussel
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