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Giacomo Cunial: “A Bassano ho buttato il cuore oltre l’ostacolo”

Ci siamo fatti raccontare com'è andato il grande ritorno nei rally e cosa bolle in pentola per il futuro

cunial giacomo

Ora che i “bollenti spiriti” del grande ritorno alle gare si sono spenti, è tornato il momento di fare due chiacchiere con il nostro amico Giacomo Cunial. Avevamo sentito le sue sensazioni prima della gara ed oggi, con un 28° assoluto e un quarto di classe Rally4, ci siamo presi il giusto tempo per farci raccontare com’è andata. Una chiacchierata piacevole e col “cuore in mano”, come ormai ci ha abituati il “nostro” Jack.

A Bassano ti abbiamo visto finalmente al via: quanto è stata una scelta “di pancia” e quanto invece era una gara che volevi toglierti dalla lista da un po’?

È stata assolutamente una scelta di pancia, ho buttato il cuore all’ostacolo, oltre a tutto. Mai avrei scelto di fare Bassano, soprattutto non allenato e non competitivo abbastanza (per i miei parametri) come ero consapevole di essere. Bassano è un rally che incute timore, che attrae ma ti mette in soggezione. Come un Mondiale. Di sicuro più che nella lista era nei miei sogni, da sempre. Col senno di poi già aver partecipato è una stata cosa bellissima. È stato scelto di pancia ma anche di “strategia”, una decisione maturata grazie a e con il supporto di Cristian Dal Castello del team DS Sport, con cui volevamo confezionare un’operazione ben fatta e direi che ci siamo riusciti. Anche la Scuderia EASI ha dato una grossa mano al “cinema” che si è creato. Che era poi l’obiettivo principale.

E comunque è tutta colpa di Service Park.

Era il tuo debutto su queste prove: cosa ti ha colpito di più del percorso e dove hai capito che il Bassano è una gara “seria”?

Mi ha colpito la diversità delle prove, pur essendo breve il chilometraggio totale e “sole” 3 PS. Valstagna è una poesia, l’università vera e propria, iper tecnica e da flow, non la più semplice per ricominciare: la cosa più difficile è ritarare il cervello sulla velocità che l’auto da rally può fare in gara. Alla fine ,comunque, la mia preferita. Quando la fai in gara capisci perché vengono da tutto il mondo per imparare da Vittorio (Caneva Rally School, ndr). Laverda invece lunga e soprattutto molto complessa, diversi cambi di ritmo, salti, sporco, tagli profondi, tutto assieme. Tosta. La temevo ma è quella che mi ha dato più soddisfazione. Mi ha ricordato la vecchia Ca’ del Diaolo del 2 Valli, che ho amato. E poi Laite, o meglio Rubbio, dove oltre la difficoltà tecnica della prima parte, in particolare dovuta alla inversione termica del primo giro che ha reso il fondo “sapone”, ho trovato la Bombonera, un pubblico da grandi occasioni. Mi hanno fatto commuovere quei ragazzacci. Stupendo tutto.

In una gara nuova per te ti sei trovato davanti avversari che qui corrono da anni: c’è qualcuno che ti ha impressionato e che hai usato un po’ come riferimento?

Impressionato, sono molto sincero, no. Forse perché ho vissuto la gara con un po’ di distacco rispetto ai tempi miei nel confronto agli altri (è stata dura). Mi ha colpito molto il ritmo e la velocità di Lorenzato che conoscevo poco, solo di nome, mentre Ardizzone e Grani me li aspettavo lì. Vanno davvero forte ed è stato bellissimo avere come riferimento chi come Lorenzo è un benchmark delle due ruote motrici in Italia e vince i titoli da anni, o come Nicolò, protagonista del Trofeo Lancia nel CIAR. Essere lì “nel mezzo” è stato bello. Temevo molto anche Cappellari, specialista del mundialito, purtroppo per lui e per fortuna mia ha commesso un errore ma stava andando come immaginavo, cioè molto forte. Per il resto, battagliare con Dal Ben, Carraro, Nerobutto, Osvy Rossetto, ma anche Chemin con la R2b, per me è stato un onore (Dal Ben era il mio idolo con la R3) e un buon riferimento rispetto alle mie aspettative pre gara. Ci siamo ancora, forse.

Preparare una gara che non hai mai fatto richiede qualche accortezza in più: qual è stata la parte più complicata tra ricognizioni, note e setup?

Sì, nonostante quello che si possa pensare, Bassano non è proprio “di casa” per me. Certo, conosco le strade, ma non le ho mai “provate” molto e soprattutto passarci in gara è un’altra cosa. Come dicevo, la cosa più difficile è tarare il corpo sulla velocità che l’auto da rally può fare in gara. Da questo punto di vista è stato molto penalizzante provare con il tracking a 70km/h, i ritmi delle ricognizioni erano serrati (abbiamo saltato un giro su Valstagna) e tenersi all’interno del limite di velocità distrae moltissimo perché obbliga a guardare il tachimetro e non la strada. Non la trovo una soluzione ottima. Di sicuro mi ha condizionato e mi ha aggiunto dubbi nel pre gara. Devo ringraziare il mio navigatore Alessio (Angeli) che è stato impeccabile e bravissimo, fondamentale in tutto il weekend ma soprattutto nella giornata delle ricognizioni. Sul setup ho avuto una strategia molto semplice, viste le condizioni anche meteo del weekend: trovare una soluzione nello shakedown e imparare a guidarla senza fare modifiche. E ha funzionato, anche perché il limite della macchina era ancora lontano.

Questo Bassano è un’apparizione speciale o possiamo considerarlo l’inizio di qualche altra uscita nei rally?

Sono nelle mani del destino adesso (ride, ndr). Speciale lo è stato sicuramente, diciamo che sto lavorando sulla seconda opzione. È uno sport in cui ci vogliono partner importanti per fare le cose fatte bene. Vedremo.

Oggi sembra che senza un programma ufficiale sia tutto più difficile, e invece tu dimostri che da privato, con le idee chiare, si può ancora trovare spazio: secondo te quali sono le leve giuste — relazioni, scelta delle gare, comunicazione, partner locali — per costruirsi opportunità reali nel rallismo di oggi?

Bisogna lavorare sulla propria storia, sulla propria identità, sulla propria specialità. Portare qualcosa di sé in questo mondo che ha tanto bisogno di energie e storie nuove. Non per forza di campioni. E tanto amore per questo sport e voglia di lottare. La passione non basta per fare il pilota purtroppo. Direi che mettendo tutto questo assieme, oggi si può fare la differenza e trovare il proprio spazio in un ambiente in declino ma non per questo senza squali.

Foto: Lorenzo Martincich - Pro One Media
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