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Intervista esclusiva a Gianfranco Cunico: “Targa Florio 1983 ricordo più bello. Aci Team Italia? Urgono innovazioni di pensiero”

Un'interessante chiacchierata a 360° con il campione vicentino

Una perenne stella luminosa del rallysmo italiano grazie alle 74 vittorie assolute e ai 6 titoli conquistati.

Non ci si annoia di certo a parlare con Gianfranco Cunico, forte pilota vicentino classe 1957 che nonostante abbia appeso il casco al chiodo nutre ancora una gran voglia di mettere a disposizione di tutto il movimento la sua infinita esperienza. Una chiacchierata interessante e costruttiva la nostra, dove si sono toccati parecchi argomenti.

Allacciatevi dunque le cinture ben strette e.. buona lettura!

Gianfranco, come ti sei avvicinato al mondo dei rally?

Mi sono avvicinato ai rally sul finire degli Anni Settanta. In quel periodo era del tutto normale, appena compiuti i diciott’anni, aspirare a prendere immediatamente la patente e andare a fare di conseguenza numeri con la propria auto lungo le strade sterrate limitrofe. Allora andavo a vedere il San Martino e il Campagnolo, due gare già importanti, e quindi non mi ci volle tanto per abbandonare il motocross in favore dei rally.

Come descriveresti questo sport utilizzando una sola frase?

Fino a qualche anno fa si poteva tranquillamente definire una passione, ma anche un mestiere. Oggi, purtroppo, si può definire soltanto una passione perchè in Italia chi lo fa di mestire ne se rimasti al massimo due.

Quali sono le differenze più lampanti tra i rally di ieri e oggi?

Questa è la classica domanda che mi mette un po’ in imbarazzo (sorride,ndr). Non mi piace dire che i rally del mio tempo erano più belli di quelli odierni, ma sicuramente erano diversi sotto vari punti di vista dunque mi viene difficile fare un paragone. Certamente oggi i rally sono uno sport che sta morendo a causa delle poche strade disponibili e delle troppe auto in circolazione. In Italia i piloti professionisti non esistono più e imbastire programmi seri e proficui è sempre più complicato.

Quali sono i ricordi più belli della tua lunga carriera?

Sono tantissimi perchè tutte le 74 vittorie assolute sono state un’emozione forte, così come tutti i titoli che sono riuscito a conquistare. Se proprio devo sceglierne uno posso dirvi la vittoria alla Targa Florio del 1983. Allora ero un ragazzino perfettamente sconosciuto e non di certo il favorito, ma con la Lancia Rally 037 della Grifone vinsi la gara isolana. Una gioia immensa! Ma non snobberei nemmeno la vittoria al rally di Sanremo nel 1993 sulla Escort Cosworth contro le squadre ufficiale e piloti importanti.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza come team manager in Skoda Italia?

E’ stata un’esperienza bellissima e che purtroppo non è proseguita per mancanza di budget. Seguire e supportare Umberto, che reputo molto bravo e che ha raccolto molto meno di ciò che poteva, è stato sensazionale e appagante.

Perchè i nostri giovani faticano ad emergere?

In Italia abbiamo piloti giovani molto bravi, per carità, ma troppo sicuri di sè. Li trovo arroganti, eccessivamente social network dipendenti e troppo poco rispettosi della storia dei rally poichè si sentono già dei professionisti navigati appena dopo aver fatto un buon tempo quando in realtà non hanno dimostrato nulla. Bisogna essere competitivi su ogni fondo senza autolodarsi, sfruttando a pieno l’occasione che gli viene concessa. Mi trovo però d’accordo sul fatto che cia sia l’impossibilità di emergere.

Aci Team Italia però negli ultimi anni sta provando ad invertire questa rotta.

Aci Team Italia utilizza un budget proveniente da Aci Sport ed è capitanato da gente con una mentalità antica e dilettantistica. Rasentiamo il paradosso, laddove vi sono programmi privi di senso e non supportati mediaticamente. Persino la livrea delle vetture non ha senso. Bisogna cambiare il sistema e il metodo di lavoro perchè così non si raccolgono i frutti, credo sia sotto gli occhi di tutti. Bisognerebbe optare per un programma più ristretto e mandare un solo pilota all’estero per vincere, invece qui si è orgogliosi di un sesto posto di categoria. Assurdo! E’ giunta l’ora di mettere la parola fine alle tante chiacchiere e di fare un’accurata selezione, preparare i piloti un anno prima mandandoli a fare le ricognizioni e insegnargli il più possibile. In Italia abbiamo personaggi che vantano due titoli due mondiali come Biasion e vari titoli nazionali come il sottoscritto, ma non vengono minimamente interpellati e questo mi fa sorridere.

Almeno nell’organizzazione dei rally però riusciamo ancora a dire la nostra con Sardegna, Roma Capitale e ora Abruzzo a testimonianza.

Ritorno anche qua sul discorso dei social network. Pare sia un a corsa all‘ultimo like per promuovere il proprio rally. Personalmente, il percorso della Sardegna non mi piace per niente. Prove speciali anomale e in strade strette, per di più in un suolo inacessibile. Fanno bene alcuni piloti a saltare questa trasferta perchè i costi sono elevati e la gara è estremamente complicata se si è semplici privati senza una squadra ufficiale dietro. Dico ciò dopo averlo sperimentato con Scandola dove si disponeva dell’aiuto di Skoda. Per me il vero mondiale qui da noi è il Sanremo per metà sulle strade dell’entroterra ligure e per metà sugli sterrati del centro Italia, quella era una forma imbattibile! Ma capisco per questioni di sicurezza è infattibile quindi speriamo che la Sardegna possa durare ancora parecchie stagioni (sorride, ndr).

Si ringrazia Ginafranco per la disponibiltà e la gentilezza con cui ha risposto alle nostre domande.

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