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“Se non vedo, non ci credo” – La parabola di Damiano De Tommaso

Editoriale del lunedì dedicato al vincitore dell'IRCup e a quel bisogno di coraggio di credere nei talenti

Conservo ancora tutte le conversazioni dello scorso inverno con Damiano De Tommaso. I vari campionati si stavano delineando sempre più velocemente. I sedili più importanti già occupati e nessun team pareva volersi accorgere di quel giovane talento che aveva appena dominato le due ruote motrici del CIR.

“Sì è bravo ma….”.

Anche per lui sembrava arrivata puntuale quella frase che somiglia ad una sentenza e sotto cui sono rimasti sepolti diversi potenziali talenti di casa nostra. Come se un classe 1996 con più di 50 start in carriera non avesse il diritto di avere un’occasione di spiccare il volo.

Poi figuriamoci lui, così pacato, tranquillo, educato. Un viso talmente pulito e tranquillo da far fatica ad immaginarselo su una quattro motrici a seminare il panico tra avversari e cronometri. Mai una parola in più, mai un’uscita di traverso che non fosse anticipata da una nota adeguata e la giusta marcia.

Più continuavo a parlarci e meno riuscivo a credere che non potesse esserci un modo per metterlo alla prova davvero su quelle macchine dove, in altri lidi, ci si giocano trofei internazionali. Non perché lo meritasse più di altri ma, semplicemente, perché lo meritava. Punto e basta.

Poi quel Laghi sulla Skoda R5, un risultato che non doveva essere quello e il timore che tutto finisse a “Te l’avevo detto. Quello è un’altra bolla che è appena scoppiata”. Non era così e Munaretto forse se lo sentiva mentre gli affidava la sua Skoda Fabia R5 per l’IRCup, tutt’altro che la provincia dei rally.

Sette gare, cinque vittorie. Una rimonta da lacrime agli occhi subito, all’Appennino Reggiano, giusto per mettere le cose in chiaro. Va bene educato, va bene pacato ma quando si chiude lo sportello dalle parti di Varese non c’è nessuna intenzione di scherzare.

Ho iniziato a sentirlo meno Damiano da quel momento, perché sentivo che fosse nell’unico posto in cui dovesse stare e mi bastava così. Non c’era poi molto da aggiungere al racconto di una vittoria dopo l’altra, aspettando il momento in cui avrei potuto constatare che non sbagliavo di molto a pensare che fosse una pazzia lasciarlo a bordo strada proprio sul più bello.

Quel momento è arrivato ieri ed è stato tanto naturale da rischiare di non celebrarlo abbastanza. D’altronde in Damiano ho sempre creduto ed ora che ha dimostrato anche ai più scettici il suo valore, vale la pena di credere ancora di più dopo essere fermati giusto un attimo a festeggiare. Perché il titolo 2019 non sia solo un trofeo da mettere in bacheca ma serva come trampolino per provare a credere in De Tommaso, per vedere fin dove arriva e quanto in alto si trova quel posto.

D’altronde il nome del santo ce l’ha solo nel cognome e quindi possiamo provare a fare uno strappo alla regola. Proviamo a crederci prima di vedere. E a quel punto forse riprenderò a mandargli qualche messaggio ma solo per sapere come si sta lì dove si merita.

Foto: Giacomo Da Rold
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