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Rachele ed il mondo che gira al contrario…

"Ma veramente siamo ridotti in questo modo?"

Me lo sto chiedendo ripetutamente da ormai qualche giorno, osservando con molto meno incanto e più razionalità l’ambiente rallystico italiano che ce la sta mettendo veramente tutta per dare il peggio di se. Inutile stia a tornare sul finale di stagione e i relativi strascichi a cui ci siamo trovati, nostro malgrado, a dover dare fin troppo spazio nell’attesa che qualcuno possa partorire qualcosa di saggio per far passare la nausea che dilaga tra gli appassionati.

Non ci torno anche perché siamo riusciti a fare peggio, in una “non gara” che ho sempre visto come la festa di fine anno dei rally. Un evento a cui ci si presenta più per salutarsi con le facce di sempre, a cui si aggiungono facce “occasionali” che vengono per divertirsi e per godere/portare un po’ di luce riflessa. Poi è ovvio, indossati i caschi ed accessi i motori, la dimensione della festicciola piano piano va a farsi benedire ed emerge la voglia di dimostrare qualcosa, sempre divertendosi ma comunque dimostrare. Perché comunque è così che funziona il motorsport ed è pure sacrosanto.

Fino a qui, niente di nuovo sotto il sole. E non ci sarebbe niente di strano pure in una “scazzottata” tra due macchine ed equipaggi che si trovano a darsi reciprocamente fastidio, ognuna con le proprie opinioni ed il proprio punto di vista (potreste dire che nei rally la cosa non è poi così scontata ma non siamo qui a parlare di questo). Di solito, in questi casi, arriva qualcuno a fare da arbitro perché è messo lì per fare quello, si ascoltano le parte coinvolte e nel 99% dei casi finisce con una stretta di mano. A maggior ragione se l’evento non è uno di quelli per cui si decidono le sorti del mondo.

Ma oggi non funziona così. Oggi l’arbitro sono diventati i social.

Quella piazza virtuale che, da grande pozzo di occasioni che può essere, si è trasformata nel luogo migliore per dare sfogo alle proprie frustrazioni e al più becero dei modi di vomitare addosso alla vittima di turno la propria incapacità di stare al mondo. E allora succede che un video finisca dato in pasto ai followers, innamorati di quel mood diretto ed immediato. Certo a rivederlo è chiaro che l’adrenalina ha giocato un ruolo importante ma, comunque, la valutazione a freddo del contenuto pare si sia basata più su quanto “potenziale social” ci fosse rispetto a quanto poco rispettoso potesse risultare agli occhi di tutti. “Così è, se vi pare” diceva Pirandello e, pur tappandosi il naso, ci si poteva anche provare a mandare giù quel boccone, consapevoli che tempo due giorni e la bolla brianzola si sarebbe spenta come sempre.

Non fosse che in ballo non ci sono solo un numero di like, la visibilità e il ritorno di immagine che può derivare anche dal più becero dei contenuti. In gioco finiscono sensibilità e rispetto verso persone che ogni giorno camminano lungo il proprio percorso che stanno cercando di tracciare non senza difficoltà. E non fosse pure che una reazione di quella parte sensibile potesse diventare l’azione da attaccare. Come se oggi fosse diventato normale prendere a male parole qualcuno e a sbagliare è chi non sopporta che la propria dignità venga calpestata per la soddisfazione di quel recinto di seguaci affamato di contenuti con quel mood. Come se tutto avesse iniziato a funzionare al contrario all’improvviso.

E, si badi bene, allo schifo che si può provare per una vicenda stucchevole, poco aggiungono la sfera personale e il percorso complesso di vita di quella persona sensibile. Per quel percorso non si può che nutrire stima, nei casi migliori, o simpatia, se proprio si è degli insensibili. Perché oggi non è così scontato prendersi la briga di provare a cambiare le cose mettendo le mani direttamente in pasta, con il doppio degli sforzi e il triplo delle insicurezze.

E allora me lo chiedo ancora se siamo veramente ridotti in questo modo o possiamo ancora nutrire un pizzico di speranza. Mi soffermo sul percorso che Rachele porta avanti, con invidiabile dedizione e, sopratutto, con la passione che ci piace raccontare sulle pagine del nostro giornale. Mi ci soffermo talmente tanto che arrivo a far finta di non aver visto nessun video, non aver sentito nessuna reazione, non aver visto nessun post e nemmeno tutti quei beceri commenti in cui ci si prende fino al diritto di poter augurare la morte di qualcuno.

Perché nell’ideale di mondo in cui mi piacerebbe continuare a vivere, il rispetto va dato a tutti e non può essere scambiato per un pugno di reazioni da social e vince chi il cuore lo mette per davvero e non tramite il tap sullo schermo di uno smartphone.

 

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