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Sébastien Loeb. L’arte di danzare nel sole della vittoria

La favola del più grande tra i grandi rallysti

Sébastien. Un nome squisitamente francese. Loeb. Un cognome assolutamente tedesco. Uniti assieme a rendere la fotografia di una identità territoriale che, nella particolare posizione geografica, tiene la spiegazione di una fisionomia etnica e linguistica ibrida.

Sebastien Loeb, infatti, nasce il 26 Febbraio del 1974 ad Haguenau, centro urbano dimorato da poco più di trentamila anime, situato in quell’area che, fin da remote epoche medievali, va tradizionalmente nota come Alsazia, ma che, un anno dopo lo scoppio della Rivoluzione francese, venne denominata Basso Reno e con statuto di Dipartimento. Una storica regione di confine tra Francia e Germania, con la Pace di Westfalia, nel 1648, assunta al regno di Luigi XIV e, fin dal XIX secolo, oggetto di velenose contese tra Parigi e Berlino, tanto da poter ben dirsi uno dei pomi ufficiali di discordia durante ben tre importanti conflitti (la Guerra Franco-Prussiana del 1871, poi la Prima e la Seconda Guerra Mondiale).

Appena un ritaglio sulla mappa dell’Europa centro-occidentale, dove due etnie, anche se con una netta prevalenza di massa numerica a vantaggio di quella germanica,  hanno sempre trovato di che armoniosamente convivere, malgrado le pretese bellicose di due Stati, che hanno cercato, sino a quasi metà del secolo passato, di imporvi un’etichetta patriottica esclusiva.

Sébastien Loeb. Un suono, ormai, al cui primo udito, nell’opinione pubblica comune, si risveglia viva l’immagine di un fiume di gloria, scorso limpido, robusto, splendente e senza ostacoli, nel corso di tutto il primo ventennio di questo nuovo millennio, lungo l’alveo degli appuntamenti più prestigiosi del rally mondiale, come pure di altri, importanti momenti di diverse formule dell’automobilismo agonistico.

Tuttavia, per quanto possa apparire singolare, il primo sport dell’adolescente Loeb non solo non c’entrava con il rally, ma neppure aveva a che fare con i motori. La vera, iniziale ambizione sportiva dell’alsaziano, difatti, fu quella di fare il ginnasta e, per vario tempo – sotto la supervisione del padre che, di ginnastica, era un allenatore titolato e al quale, in certa, buona misura, si deve la causa dell’interesse del piccolo Sébastien – fu come tale che si allenò, praticando solo palestra e quei particolari esercizi che tendono a render bello e perfetto ogni movimento corporale.

L’interesse del futuro campione francese per il rally, comunque, nacque dopo anche altre passioni sportive, contemporanee o successive alla ginnastica, come il ciclismo – che, per lui, rappresentò anche una indimenticabile fonte di divertimento – oppure, ancora, quella che potrebbe essere definita una prima forma di motociclismo, praticato in sella ad un umile motorino. 

Quando, finalmente, verso la maggiore età, comincia il contatto con le quattro ruote, con le prime gare tra amici, gli basta subito assai poco per capire di saperci fare con il volante, tanto da distinguerlo indiscutibilmente dai concorrenti delle sue comitive. Inizia, così, a guardarsi attorno, in cerca di competizioni che gli permettano di dimostrare tutto il proprio valore e di proiettarlo verso dimensioni più impegnative. Ma, se da un lato, tra campionati e manifestazioni non manca che l’imbarazzo della scelta, dall’altro emerge un ostacolo piuttosto consueto nella biografia di tante, altre stelle che brillarono per luminosità, vale a dire quella scarsezza di possibilità finanziarie che permettono l’accesso a determinate pratiche, e quella dell’agonismo automobilistico è proprio tra le più costose.

Tuttavia, durante questa fase della sua esistenza, in Francia si disputava già un evento con la missione di calamitare giovani promesse nell’ambito del rally, dando così il via ad una prima selezione destinata a portare nuova linfa nelle varie squadre dei marchi concorrenti, soprattutto, ovviamente, francesi. E’ il 1995, l’evento si chiama “Rallye Jeunes” e, già a questa sua prima partecipazione, Loeb domina spietatamente, battendo altri quindicimila gareggianti! L’anno seguente, i risultati si ripetono per brillantezza, ma, stavolta, all’alloro si aggiunge la novità del suo primo ingaggio come pilota da parte di un team alsaziano.

E’ questo un segnale davvero importante per gli inizi della carriera di Sebastien Loeb, poiché è la prima volta che gli viene tributata fiducia al punto da garantirgli una vera vettura da competizione e, soprattutto, la compagnia di un navigatore. Il “passeggero” al quale, fino a quel momento, non era abituato è Dominique Heintz, che è anche a capo della squadra e dal quale apprenderà le regole del rally, mentre l’auto è una Peugeot 106 Gruppo “N”. La vittoria giunse immediata, a conclusione di una gara regionale e proprio in quell’Alsazia che gli aveva dato i natali.

Nel 1997, durante un altro evento organizzato dalla Peugeot, s’imbatterà nel monegasco Daniel Elena, di ruolo co-pilota. Tra i due fiorisce subito una intesa così amichevole che, già l’anno appresso, assorbito al Trofeo “Citroen Saxo”, Elena è al fianco del pilota di Haguenau, condividendo con lui, malgrado alcuni incidenti alla vettura, ogni galoppata verso la vittoria e tutta la gioia di sollevare con ricorrenza trofei da primo classificato di classe.

La coppia, così affiatata, sembra pronta per il salto nel Mondiale e, come per incanto, proprio questo accade. Ad un anno dallo scoccare del secondo millennio, sempre a bordo di una “Saxo”, l’equipaggio franco-monegasco affronta cinque tappe del massimo Campionato di rally, tra cui quella italiana di Sanremo, conseguendo piazzamenti assolutamente rincuoranti.

Alla maniera del passaggio di una stella cometa, con il suo strascico di luce che, visto dalla Terra, si conquista uno spazio imperituro nella memoria dell’umanità, come se il fato volesse lasciare ad ogni costo una traccia visibile ed inequivocabile a beneficio dei posteri, il primo anno del nuovo millennio segnerà una sorta di primo apogeo per Loeb, con la vittoria nel Campionato francese di rally su sterrato, ma con singoli successi anche su asfalto, naturalmente in Citroen, marchio con il quale l’alsaziano solidifica sempre più un rapporto di reciproca fiducia e di autentica stima, destinato ad avere vita lunga e fruttuosa.

Dopo l’egemonia completa nel Campionato mondiale rally dedicato agli Under 28 nel 2001, saranno le porte del Campionato WRC del 2002 ad aprirsi finalmente. Alla guida di una Citroen “Xsara”, coadiuvato dall’ormai inseparabile Elena, riesce subito vincitore al Rally di Montecarlo, la prima di tutte le tappe in programma, anche se, poi, finirà per incontrare difficoltà che, almeno per tutto il resto di quell’edizione, non gli permetteranno di primeggiare come nelle molte attese, comprese le proprie stesse.

Al WRC del 2003 si ripete il successo ottenuto tempo prima sulle strade del Principato, con Loeb svettante sul podio più alto e, in più, stavolta, i due gradini più prossimi conquistati dagli altri due equipaggi del Double Chevron, capitanati rispettivamente dallo spagnolo Carlos Sainz e dal britannico Colin Steele McRae. Un grande successo, dunque, anche per la Casa motoristica d’Oltralpe, alla quale va riconosciuto di aver scelto le carte migliori. 

Malgrado, però, l’inizio tanto entusiasmante, seguono accadimenti che non confortano per un finale all’altezza delle aspettative ingenerate. Tra guasti alla vettura e altre situazioni non riconducibili alla sua personale responsabilità, l’avventura di Loeb non brillerà come quel diamante puro che tanti vedevano in lui. Alla fine, guadagnerà un secondo posto, che, comunque, tradotto in un solo punto di distacco da Petter Solberg che lo precederà in cima alla classifica, per il valore tecnico e l’audacia dimostrati sul campo, avrà perlomeno il senso d’una splendida introduzione a capitoli che si sarebbero rivelati di travolgente successo.

Per tutti e due gli anni successivi, infatti, il francese trionfa nel WRC, conquistando il titolo Piloti. Lo fa in modo naturale, pieno, irreversibile, con ogni dubbio sul suo essere autentico campione che, improvvisamente, crolla come la parete di una diga sotto la pressione di un carico d’acqua divenuto troppo forte per essere trattenuto. Eppure, nel corso di una tappa del 2005, quella del Galles, sarà proprio egli stesso a spingere sul freno della propria gloria. Nel corso di una delle prove, Michael “Beef” Park, un co-pilota britannico, era deceduto a causa di un incidente della Peugeot “307” che serviva e che era pilotata dall’estone Markko Martin. L’evento fu avvertito dolorosamente dall’intera organizzazione e da tutte le squadre partecipanti. Come estremo atto di rispetto alla memoria di Park, Sébastien Loeb decise allora, egli solo tra i gareggianti e per la prima volta nella storia del rally, di schivare il podio, rallentando volutamente il proprio ritmo gara e, così, evitando di dover festeggiare in un momento tanto funesto.

Ecco, se si vuole comprendere in cosa si distingua un atleta assai bravo da un campione, oppure, se si vuole, un campione da un vero campione, bisogna guardare a questo insolito, particolare gesto. Poiché l’elemento che permette di tracciare il confine tra queste due dimensioni è proprio il gradiente morale. Se, cioè, l’insieme di abilità eccellenti poste sul tappeto, con le conseguenti e costanti vittorie, portano senza dubbio a primeggiare, è in più l’autenticità del valore umano a consentire di splendere agli occhi dei comuni mortali. In quel coraggio di rinunziare alla gioia di una vittoria meritata, sta, insomma, una grandezza che va ben oltre quella derivante da un ottimo risultato sportivo, una grandezza di ordine morale, di quelle capaci di elevare l’essere umano allo stato della dignità d’uomo. 

Il biennio dopo è anch’esso carico di successo, con la conquista finale del titolo Piloti, anche se con tutto il tempo marchiato dalla continua, agguerrita, durissima concorrenza del finlandese Marcus Gronholm.

E così via, sino al 2010, con il massimo obiettivo puntualmente centrato, senza contare alcune, altre assai personali soddisfazioni, come quella di pareggiare il numero delle Montecarlo vinte, finalmente quattro, com’era stato nel caso di Sandro Munari e di pochissimi altri. Un numero, per giunta, destinato pure ad esser presto salutato negli anni a seguire dallo stesso Loeb, con un settebello rimasto unico nella storia della tappa monegasca fino a quando un altro Sébastien non ha deciso di far suo questo record tutto francese.

Bisogna, comunque, arrivare sino al 2012, vale a dire al nono titolo di Campione mondiale di Rally, come tutti gli altri precedenti conquistato in sequela ininterrotta, per attestare a Sébastien Loeb – e , ovviamente, al suo compagno di squadra Daniel Elena – il record più ambito e che, ancora oggi, rimane insuperato.

Con questo confine raggiunto, il pilota più carismatico del rally contemporaneo dichiara di volersi ritirare dall’agonismo. In questa specie di volontario pensionamento, si cimenterà solamente in singole tappe, almeno fino ad un clamoroso cambio di scuderia, avvenuto nel 2019, con l’adesione ad un contratto con la Hyundai. Quell’annata e, poi, quella dopo, però, non produrranno l’entusiasmo immaginato, al punto da spingere Loeb stesso a proporre di non prolungare l’impegno con l’azienda coreana e, piuttosto, a concentrarsi nella Dakar, in cui militava parallelamente già dal 2016 col marchio di patria Peugeot.

Apparentemente nella sua fase discendente, la parabola della stella di Haguenau continua ancora oggi il proprio corso, grazie a varie partecipazioni in gare non necessariamente di rally, nelle quali tutte, pur non sempre lambendo i podi più alti, Sébastien Loeb non smentisce la propria costituzione di pilota di razza, non solo dando mostra vincente di sé, ma, soprattutto, offrendo quel raro piacere della contemplazione che si produce alla vista di un fenomeno che il destino ha dotato di qualità eccezionali. 

In questi ultimi anni, ogni sua comparsa sullo scenario delle competizioni, come quelle anche nelle Categorie WTCC ed Extreme E, ha fatto e continua a rendere da capitale etico, prim’ancora che tecnico, per un mondo, quello dell’automobilismo agonistico di livello, sempre meno devoto, nei fatti, a certi principi morali che sono il fondamento comune ad ogni disciplina sportiva, e sempre più proteso alla nuda ricerca del successo in sé. In qualche modo, per quello che è stato l’insieme delle sue specialità costanti, è come se Loeb fosse divenuto il nome vivo di un modello di perfezione che può aver avuto precedenti in epoche passate, ma che, allo stato dell’arte del rally odierno, non trova ancora paragoni che possano attentarne il primato. Come se, nell’istante di ogni sua azione, d’ogni suo gesto o di tutto quel suo essere sempre così autentico e presente, fosse andato crescendo un fuoco di bellezza la cui legna principale è proprio la più preziosa, quella del valore dell’umanità. 

Come se, nel mentre della fatica e del rischio per uno dei suoi diversi record di carriera, egli sia andato suscitando prima e maturando poi, il segno e il senso dell’uomo che, pur sfidando di continuo i limiti posti all’umana natura attraverso velocità insostenibili ai più, pur elevandosi ogni volta, con le sue prestazioni mozzafiato, da quella terra che fa da unica, ordinaria dimensione per chi abiti la storia comune dalle sue origini, mai dimentica di sapersi dello stesso diritto d’ogni uomo e, dunque, dello stesso dovere verso ogni uomo. 

“Questo ragazzo ha qualcosa di speciale, molto speciale” – disse di lui l’asso finlandese Tommi Makinen, quando Sébastien Loeb cominciava a farsi notare nello spartito del WRC. Quel qualcosa che non si riusciva a definire, ma di cui si aveva certezza, batteva dentro il petto di quel francese partito dal niente di un giovanissimo di provincia talentuoso ma senza mezzi, e finito a danzare nel sole della vittoria davanti agli occhi estasiati della grande storia dell’automobilismo sportivo.

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