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La scuola francese dei rally è finita?

Il mondiale è fuggito verso l'Estonia e non si vede un futuro così immediato dopo i due Seb

tanak ogier loeb

Sapevamo che prima o poi sarebbe dovuto capitare ed ecco arrivato il momento. Da ieri, 27 ottobre 2019, il campione del mondo rally non è più francese e non succedeva da ben quindici stagioni. L’ultimo era stato Petter Solberg che, nel lontano 2003, aveva portato la Subaru Impreza WRC sul tetto del mondo. Un’autentica egemonia che sembrava non potesse finire mai, figlia di due talenti assoluti (e probabilmente impareggiabili), assecondati da una progettualità come quella francese che ha saputo metterli nella condizione di poter sbocciare nel momento giusto ed essere tutt’ora al top del World Rally Championship.

Sia Loeb che Ogier saranno al via della stagione 2020 e, soprattutto il secondo, cercheranno di riportare in Francia il titolo mondiale piloti ma, in questo esatto momento, non si può fare a meno di chiedersi se non sia finita un’epoca. Qualche indizio effettivamente c’è e vale la pena di provare a soffermarsi ad analizzarlo.

Tante giovani promesse, nessuna stella

Lefebvre, Camilli, Loubet, Franceschi, Ciamin, Formaux. I nomi su cui puntare non mancano, tra promesse ancora in attesa di essere mantenute e gioielli da coltivare tra campionati nazionali ed internazionali. Tuttavia, nessuno di questi nomi sta ricreando quella sensazione di essere di fronte ad un “crack” capace di andare a prendersi una WRC prima e i vertici del mondiale poi. Basti pensare che quello che oggi ha raccolto più risultati è Loubet che, all’età di 22 anni, andrà a giocarsi in Australia il titolo WRC2. Un pilota interessante, di buone prospettive ma che, ad oggi, si fatica ad immaginare “la davanti” al cospetto di nomi che fanno parte della stessa categoria. D’altro canto, Camilli è sicuramente veloce e ha la fiducia di tanti team che non esitano a chiamarlo come tester, potrebbe anche trovare nuovamente un sedile stabile nel WRC ma non è mai riuscito a tirare fuori quel quid in più nelle occasioni avute. Giovani interessanti, che vanno cresciuti ma tra cui non si vede al momento “il fuoriclasse”. Almeno non sul breve periodo.

I costruttori restano ma riducono i budget

Storicamente la Francia è la nazione che offre più case costruttrici ai rally e al mondiale, in tutte le categorie. Complice la crisi internazionale e lo spostamento verso altri orizzonti sportivi che garantiscono ritorni sugli investimenti più sicuri ed importanti, abbiamo registrato negli ultimi anni una riduzione degli investimenti delle case transalpine che, di riflesso, hanno ridotto il numero di sedili che possono offrire un volano interessante per i piloti più competitivi. Renault e Peugeot mantengono la loro logica orientata prima a costruire progetti competitivi da inserire nel mercato dei privati mentre Citroen continua ma con restrizioni di budget notevoli. Basti pensare che per poter riportare a casa il figliol prodigo Sebastien Ogier, si è rinunciato a schierare la terza vettura in questa stagione, con ovvi riflessi sulla classifica costruttori e con il pilota di Gap che si è trovato spesso a correre solo contro tutti. La stessa C3 WRC ha mostrato molte carenze e la stessa R5 sta faticando ad andare a contrastare la rivalità Skoda-Ford che si è finora spartita il grosso del mercato.

Non più progetti ma intere nazioni a spingere i big di domani

E poi c’è il contesto che non è più quello di quando sono sbocciati i due Seb. FFSA rimane sicuramente la miglior federazione nazionale in termini di organizzazione di gare ed orientamento delle stesse alla creazione di nuovi talenti da lanciare nel mondiale. Tuttavia, oggi, un buon progetto a livello federale si trova a competere contro progetti altrettanto validi che hanno la spinta di nazioni intere che convogliano tutte le proprie risorse (pubbliche e private) verso un talento di buona prospettiva o a progetti privati con basi economiche solide ed importanti.

Pensiamo a nomi come Gryazin, Bulacia o lo stesso Ott Tanak che hanno il supporto delle loro rispettive nazioni, o di figli d’arte come Rovanpera o Solberg che godono di sponsor “monstre” attirati da un ritorno di immagine quasi certo contro cui una federazione nazionale difficilmente può pensare di competere.

Naturalmente questi sono interrogativi che potrebbero trovare risposte diverse nel tempo. La Francia è e resterà una delle realtà più solide nel panorama internazionale ma, è inutile negare che questa caduta dopo quindici anni possa creare dei contraccolpi ed una nuova prospettiva. Fatta di equilibri diversi, dinamiche competitive mutate ed una Nazione intera che dovrà rimboccarsi le maniche per ritornare dove è stata per un tempo talmente lungo da fare epoca.

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