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Dal calcio ai rally: come Carlos Sainz diventò “El Matador”

Ripercorriamo gli inizi del cammino di uno dei più grandi rallysti di sempre

La scienza forse ancora no, ma la fantasia invece ci dice che sì, gli universi paralleli esistono. Universi in cui tutti noi ci immaginiamo se avessimo per caso fatto una scelta diversa, o se le cose fossero andate in maniera differente, e non sempre a causa nostra.

Ecco in uno di quegli universi c’è un ventenne, o giù di li, che sta rincorrendo un pallone in un campo da calcio, magari al fianco di personaggi come José Antonio Camacho o Rafael Gordillo, con addosso la maglia rossa della nazionale del suo paese, ovvero la Spagna.

Probabilmente non sapremo mai come sarebbero andate veramente le cose, e neanche il protagonista stesso lo potrebbe dire, se il ragazzo in questione avesse proseguito la sua scalata nelle giovanili del Real Madrid. Una cosa però è sicuramente certa: il Carlos Sainz che l’11 luglio 1982 metteva alla frusta una Seat Panda sulle speciali del Rally CS nella regione di Bilbao, sarebbe risultato sicuramente molto più contento del suo alter-ego calciatore.

Questo non solo per il fatto che la Spagna fu eliminata senza tanti complimenti dal mondiale disputato in casa, ma anche perchè colui che sarebbe diventato El Matador, stava per concludere la seconda stagione completa al volante di un’auto da rally, e stava vivendo uno dei più bei momenti della sua vita.

Quando il rally non c’era

A quel tempo, quando avevo 18-19 anni, il rally non era molto popolare in Spagna. Ho scoperto il rally grazie a mio cognato, e poi grazie alla TV ho potuto ammirare le gesta di Walter Röhrl, Stig Blomqvist, Sandro Munari, Björn Waldegård, che avrei poi incrociato anche in gara.

Esordisce così El Matador ai microfoni di Stephen Brunsdon di DirtFish, prima di continuare il viaggio nei ricordi della sua infanzia.

Non era facile seguire il rally a quel tempo, se non per qualche programma in TV, ma un giorno andai in un negozio e comprai 8 filmati di rally e ricordo che li guardai fino a bruciare i nastri. Alla fine non avevo più nessun video.

Il più giovane di quattro fratelli, Carlos era un grande amante dello sport. Praticava l’atletica e la boxe, dove fu allenato anche dall’olimpionico Miguel Velasquez, ma durante l’adolescenza passò a praticare lo squash e a giocare a calcio. Il motorsport, in quel periodo, non sapeva nemmeno che cosa fosse.

Son sempre stato un po’ un sognatore fin da quando ero ragazzino. Da teenager giocavo un sacco a calcio, ma mi impegnavo praticamente in ogni sport. Giocavo anche a squash e a boxe, e mi piacevano, tutt’ora, anche un sacco di altri sport.

A squash ero molto bravo e diventai campione spagnolo all’età di 16 anni battendo un sacco di ragazzi più vecchi di me, ma quando scoprii il rally, dovetti fare una scelta.

Carlos scopre la specialità

Il primo viaggio sul pianeta rally Carlos lo compie grazie alla sorella Carmen, e soprattutto grazie al ragazzo e futuro marito della sorella, Juan Carlos Oñoro. La storia racconta di un allora undicenne Carlos Sainz intento a manovrare il volante della nuova Seat 600 della sorella, mentre questa era intenta a schiacciare i pedali.

Qualche anno più tardi Carlos fu coinvolto nelle attività motoristiche di Oñoro provando anche il motocross e le salite, prima di fare il suo debutto ufficiale al Rally Shalymar a Madrid nel 1980. Carlos, con a fianco Juanjo Lacalle, si iscrisse con una Renault 5 TS.

Lo scoprire il rally fu un momento fondamentale nella mia vita. Avevo 11 o 12 anni quando scoprii il motorsport, e in seguito, grazie a mio cognato, riuscii ad averne un assaggio.

Quando avevo 18 anni cominciai a correre in diversi piccoli eventi e poi, passo dopo passo, sono riuscito a far progredire la mia carriera. Sono stato molto fortunato ad essere riuscito a realizzare i sogni che avevo fin da bambino.

Appena presa la patente avevo sempre bisogno di guidare e di gareggiare. Andavamo con la macchina su delle stradine sterrate e pregavo sempre mia sorella e suo marito di farmi guidare.

Poi pian piano iniziai a fare qualche gara, e non mi fermai più.

La collaborazione tra Sainz e Lacalle proseguì per i due anni successivi. I due presero parte al Castilla Rally Championship e alle gare comuni del campionato europeo collezionando due arrivi fra i primi cinque nell’82, prima di mettere la firma su nove vittorie e due titoli nei due anni successivi.

Il passo successivo fu la scalata al titolo nazionale, dove Carlos si trovò faccia a faccia anche con personaggi quali Miki Biasion, Jesús Puras e Bruno Saby.

Anche se attualmente viene riconosciuto come uno dei piloti più completi della storia avendo vinto su ogni superficie e condizione, agli inizi della carriera Sainz poteva sicuramente essere considerato uno specialista dell’asfalto, superficie su cui aveva la maggiore esperienza. Proprio questo aspetto sembrava però dannoso in vista del famoso ultimo salto di qualità, e diede a Carlos qualche grattacapo.

Una delle cose negative del campionato spagnolo è che le gare sono in prevalenza su asfalto. Questo mi rese in realtà possibile il salto nel mondiale con Toyota proprio in quanto specialista, ma mi resi presto conto che venivo visto solo come tale, mentre io volevo avere la possibilità di correre tutte le gare e combattere per il mondiale.

Tutti dicevano che gli italiani, gli spagnoli, e i francesi erano degli asfaltisti, mentre gli scandinavi erano specialisti della terra. Io volevo essere completo, non solo uno specialista dell’asfalto.

Una delle cose su cui ho lavorato più duramente, e penso di aver avuto successo, è nel cancellare questo stereotipo e dimostrare a tutti che potevo essere veloce anche sulla terra, che potevo esserlo al 1000 Laghi, al RAC, in Svezia. Penso di esserci riuscito e di aver contribuito a cambiare l’opinione in generale.

Quando arrivò sulle scene mondiali a fine anni ’80, Carlos non solo riuscì a rompere lo stereotipo, ma lo fece letteralmente a pezzi. C’è da dire che Sainz non era completamente privo di esperienza sulla terra: nel 1986 Carlos aveva concluso al settimo posto il campionato terra spagnolo, avendo corso negli eventi comune al massimo campionato, e vincendone uno.

La scalata

Scambiata la Seat Panda con una Renault 5 Turbo nell’83, e dato il benvenuto ad Antonio Botto sul sedile di destra nel 1985, Sainz vinse due campionati asfalto spagnoli nell’86 e ’87 (l’ultimo al volante di una Ford Sierra Cosworth) in modo convincente. Prossimo obiettivo? Il campionato del mondo, ovviamente.

La mia prima gara nel mondiale fu in Portogallo nel 1987, dove vinsi anche la mia prima prova speciale. In realtà ne vinsi due, ma poi fui costretto al ritiro. Era il primo anno del Gruppo A, e i costruttori non erano preparati completamente per un cambio così drastico, intendo passare dal gruppo B al gruppo A.

Questo penso si sentisse particolarmente nei team non ufficiali, e io guidavo per il team Ford Spagna. Soffrivamo parecchio rispetto ad altri team con queste nuove auto.

Ricordo quello stesso anno in Corsica: un sacco di problemi. Anche al RAC a fine anno fu una follia: ricordo che iniziò a nevicare e ci trovammo senza gomme chiodate con una trazione posteriore. Quell’anno imparai veramente molto.

L’anno dopo invece ero con il team ufficiale Ford. In Portogallo fu una gara difficile, ma fummo competitivi da altre parti come al Sanremo sotto la pioggia e la nebbia: restammo in testa per due giorni, e questo mi aiutò ad attirare l’attenzione di Ove Andersson e della Toyota in vista del 1989.

Carlos fece di tutto per migliorare e mettere in mostra la sua polivalenza, ma è un po’ ironico pensare che fu invece sempre la sua familiarità con l’asfalto a far emergere, agli occhi degli altri, il suo talento.

Fu così anche per Ove Andersson, che Sainz definisce come un secondo padre per lui, ma fu poi proprio lo svedese ad offrire alla futura stella dei rally un giro sulla Celica GT-4 ufficiale per il 1989. Sainz in quell’anno mostrò tutta la sua abilità sulla terra, e andò vicino a vincere addirittura il 1000 Laghi quando tutti gli idoli locali, da Kankkunen ad Alen passando per Mikkola, incapparono in diversi problemi.

Carlos, sulle velocissime strade finlandesi, impressionò tutti passando anche in testa alla gara, prima di venire superato dal futuro vincitore Mikaël Ericsson. Sainz, sentendosi comunque sottovalutato, piazzò una rimonta furiosa, ma si cappottò sulla speciale 17. Sfumata la vittoria Sainz e Luis Moya, salito a bordo del “treno Carlos” l’anno prima, finirono comunque sul podio, terzi, in quello che fu a tutti gli effetti l’antipasto per l’anno successivo.

A quel tempo ero giovane, ambizioso, e probabilmente anche coraggioso. Volevo far vedere agli altri quanto potevo essere bravo. A volte mi capitava di osservare gli altri, ad esempio Blomqvist, per capire come guidare in quelle condizioni, ma il più delle volte preferivo fidarmi semplicemente del mio istinto.

Saint fece tesoro dell’esperienza accumulata, e l’anno successivo divenne il primo non scandinavo a vincere il 1000 Laghi, splendido preludio a quello che sarebbe stato a fine anno il suo primo titolo mondiale.

Ero totalmente pieno di adrenalina all’idea di vincere là, e riuscirci fu una cosa magnifica, specialmente dopo il percorso di avvicinamento che avevamo avuto.

Ebbi un brutto incidente prima della gara e avevo male dappertutto. Pensavo addirittura che non sarei riuscito neanche a partire. Fu a quel punto che tutta l’adrenalina che avevo dentro fece effetto e fui in grado di andare avanti.

Dimostrai finalmente a tutti che anche un pilota non scandinavo poteva vincere quel rally. Fu una spinta incredibile per il resto della stagione.

La conversazione evita poi volontariamente di arrivare a parlare del disastroso finale di stagione 1998. La faccia di Carlos dimostra ancora tutto il suo dolore solo a nominare Margam Park, dove il motore della Corolla mandò letteralmente in fumo i sogni di Carlos.

Ci sono poi anche gli anni in Subaru, gli anni della rivalità con Colin McRae. La successiva riconciliazione dei due in Ford, e l’ultimo brillante capitolo della carriera del madrileno in Citroen.

Questa storia termina invece addirittura prima del primo titolo iridato di Carlos. Attraverso la sua carriera nei rally, proseguita poi anche alla Dakar, Sainz ha affrontato tantissimi bivi che lo hanno portato nell’universo in cui lo abbiamo conosciuto.

Di questi, però, il più importante resta sicuramente quel bivio iniziale, grazie al quale abbiamo potuto ammirare uno dei più grandi atleti di tutti i tempi impegnato, per nostra fortuna, sulle strade mondiali dei rally invece che su un campo di calcio.

Credit: DirtFish
Credit pics: unknown

 

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