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Audi Sport | 200 Trans-Am e 90 Imsa GTO: l’eredità della Quattro

Dopo l'uscita di scena dai rally i tedeschi riutilizzarono il sistema Quattro per sbancare l'America

Squadra che vince…cambia sport!

Successe alla Lancia/Abarth nel 1992, con la squadra corse che passò praticamente ad occuparsi dell’Alfa Romeo nell’avventura Superturismo e poi DTM, e successe anche prima all’Audi, che chiuso il capitolo Gruppo B scelse di impegnarsi altrove.

Tutto questo perchè, è sempre bene ricordarlo, ciò che muove il Motorsport (e non solo quello) non è l’amore per il prossimo o per la propria donna, e non è nemmeno la passione di noi poveri fanatici (altrimenti si correrebbe ancora il Sanremo, quello vero, con le Gruppo A), ma bensì il vile denaro. Vile denaro che potremmo tradurre forse con “strategie di marketing”, “promozione del brand”. Insomma sì, avete capito: si intende come fare ancora più soldi sfruttando l’immagine commerciale di un proprio prodotto.

Tornando ai nostri (forse poco) amati vicini di stanza ad Ingolstadt, è giusto fare subito una correzione. Usciti velocemente e senza troppi rimpianti dal Campionato del Mondo Rally 1986 dopo tre gare, i tedeschi si ripresentarono subito al via della stagione ’87, la prima con le nuove Gruppo A. Ecco si potrebbe forse sostenere che se anche non lo avessero fatto non sarebbe cambiato nulla, visto che la nuova Audi 200 Quattro fu forse tutto tranne che la degna erede della vera Quattro, ma dietro alla schiacciante supremazia della Delta 4WD si nasconde comunque un risultato di rilievo ottenuto dalla berlinona tedesca. Non tanto il secondo posto finale nel costruttori, distanti un intero pallottoliere e mezzo da Fiorio e soci, quanto la doppietta al Safari, primo (e unico) successo dei tedeschi in quella parte di Africa.

Hannu Mikkola vincitore al Safari 1987 con l’Audi 200 Quattro

Il tutto comunque non abbastanza per giustificare una nuova batosta, perdonate, stagione nel mondiale per il 1988, visto che, tornando al discorso dei soldi e della promozione del prodotto, il marchio Quattro, in Europa tramite i rally, era stato ormai spremuto fino all’ultimo.

Il nuovo mondo

A fine anni 80 l’Audi aveva estremo bisogno di aumentare le proprie vendite sul mercato americano e di promuovere il sistema Quattro al di là dell’Atlantico, ma si sa, scardinare lo scetticismo yankee verso i prodotti europei e mettere in secondo piano il patriottismo americano verso i propri gingilli a quattro ruote, non è facile adesso come lo era forse ancora meno all’epoca. Che fare quindi? Beh, facile. Per fortuna, anche se a modo loro, anche gli americani sono sempre stati molto suscettibili di fronte a quel magico mondo chiamato motorsport. E se la montagna non va da Maometto, con gli americani poco o nulla interessati ai rally, allora sarebbe stata la Quattro ad andare da loro.

Parlando di motori, in America, non c’è nulla che solletichi di più il palato ai locali di quel campionato in cui macchine tecnologicamente poco avanzate, ma con suoni da orgasmo, girano in tondo su tracciati più o meno ovali, in cui le dispute fra piloti finiscono spesso in risse ai box, e fra il pubblico si consumano ettolitri di birra e svariati chili di carne alla brace durante l’evento. Stiamo parlando, ovviamente, della NASCAR.

In Audi questo lo sapevano bene, e non trovarono quindi niente di meglio che prendere una 200 Exclusiv, appiccicarle un badge che recitava 5000 CS, modificarla per essere conforme al regolamento Nascar, affidarla alle sapienti mani (e piedi) di Bobby Unser, e scatenarla sull’ovale più veloce del mondo: Talladega. La 200, grazie ai suoi 650 cavalli, riuscì ad abbattere la media delle 200 miglia orarie sul giro (realizzando quindi un nuovo record), e a raggiungere una velocità di punta di oltre 219 miglia all’ora (oltre 350 km/h), abbastanza per guadagnare la prima fila sulla griglia di partenza di quegli anni.

Oltre al lavoro sul solito, magnifico, cinque cilindri, dotato per l’occasione di 5 valvole per cilindro, fu ovviamente fatto del lavoro sull’aerodinamica, aggiungendo uno spoiler posteriore e uno frontale per aumentare la deportanza, e riducendo l’aera frontale a beneficio della resistenza. Il Cx risultante, dopo aver anche ridotto l’altezza da terra di 40mm, fu di 0,33. Particolare attenzione fu posta anche alla distribuzione dei pesi, fondamentale per la dinamica del veicolo in curva, e per non mettere sotto eccessivo stress gli penumatici. Su un ovale è fondamentale spostare quanto più peso possibile verso la parte interna della vettura, per ridurre il più possibile il trasferimento di carico verso i due pneumatici esterni, che sono ovviamente i più sollecitati. Serbatoio, circuito dell’olio, batteria, persino il motore con il cambio e i differenziali, tutto fu spostato anche di 50mm verso il guidatore, con la necessità quindi di mettere mano anche a tutto il pianale. La posizione di guida fu poi arretrata di 200mm, rendendo necessario rifare anche lo sterzo, e la pedaliera. La distribuzione dei pesi risultante fu alla fine del 58% verso l’anteriore, e del 53% sugli penumatici interni.

Lo spaccato del 5 cilindri Audi con 5 valvole per cilindro: poesia

Al minuto 6, del video sotto, capite un po’ cosa voleva dire girare a Talladega a oltre 200 miglia orarie di media su quel trabiccolo che era la 200 Quattro. Piuttosto impressionante.

Dopo aver stabilito il nuovo record di velocità a Talladega l’Audi si lanciò in una intensa campagna pubblicitaria, rendendosi però conto che non sarebbero bastati due volantini consegnati al pubblico sulle note di Born in The USA per ottenere un vero risultato. Stabilire un record di velocità contro nessuno poteva essere una buona base di partenza, ma per mostrare al pubblico la superiorità del sistema Quattro serviva un confronto diretto, un bel corpo a corpo con i pachidermi made in USA.

Il “volantino” con cui Audi informava gli americani su cosa poteva voler dire girare con una Quattro

Il ciclone 200 Quattro travolge la Trans-Am

Tenuta di strada, trazione, agilità. Tutte peculiarità e caratteristiche del sistema Quattro, ma che sarebbero state difficili da dimostrare su un ovale. Fu così che sulla spinta del record in formato Nascar Audi decise di attaccare invece la Trans-Am nella stagione 1988. La serie, nata nel 1966 per mano di John Bishop, era originariamente nata come campionato riservato ai costruttori di sedan e coupè, ma dal 1972 si assegnava anche il titolo piloti.

Il pubblico (e anche gli avversari) accolse la partecipazione della 200 Quattro deridendo i tedeschi. Agli occhi di tutti era infatti impossibile che quella che assomigliava ad una limousine nel modello di serie potesse combattere con le varie muscle car americane che la surclassavano in potenza. Audi si presentava infatti al via con il suo fidato cinque cilindri turbo, che nella configurazione Trans-Am sviluppava 510 cavalli con una pressione massima del turbo di 2,8 bar. Venne riutilizzata la configurazione a 10 valvole, visto che l’ultima evoluzione con 20 valvole, o peggio ancora le 25 dell’esperimento Talladega, avrebbero significato una drastica diminuzione dell’affidabilità. Il sistema Quattro garantiva la trazione integrale permanente, cosa che non spaventava però minimamente i concorrenti, visto che si trattava anche del primo impiego di un sistema a trazione integrale nella serie.

Gli avversari, che schieravano dalla Chevrolet Corvette alla Camaro, passando per la Pontiac Firebird, Ford Thunderbird e Ford Mustang, solo per citarne alcune, contavano infatti sui loro V8 aspirati da oltre 600 cavalli, che sulla carta avrebbero dovuto travolgere il piccolo cinque cilindri in linea tedesco.

Ad Ingolstadt avevano però preso più che seriamente la sfida, e la 200 Quattro Trans-Am era molto di più che una limousine con un motore da 500 e passa cavalli. Il telaio in acciaio derivava strettamente dalla serie, ma tutto il resto era stato opportunamente riprogettato. Il regolamento imponeva ad esempio che la lunghezza della vettura, senza contare i paraurti e lo spoiler corrispondesse a quella di serie, ma lasciava invece libertà sulla larghezza. I tecnici dell’Audi ne approfittarono quindi per allargare sensibilmente la carreggiata, e portare la larghezza della macchina oltre i due metri, a fronte di una lunghezza di 4,9 metri. Il peso restava sotto i 1100 kg, aumentato poi nel corso della stagione oltre i 1200 kg, con pneumatici di larghezza prossima ai 375mm per scaricare a terra tutta la potenza e la coppia.

Stuck in azione con la 200 Quattro

La gestione sportiva fu affidata al team Group 44 capitanato da Bob Tullius, già esperto delle corse made in US e reduce da svariati successi con Jaguar negli anni ’70. Per quanto riguarda i piloti furono scelti Hurley Haywood e Hans-Joachim Stuck. Il primo, già plurivincitore a Le Mans e Daytona, garantiva una solida esperienza nelle gare oltre oceano, mentre il secondo vantava anche una precedente carriera in F1. Stuck, essendo anche pilota ufficiale Porsche, non avrebbe partecipato a tutto il campionato causa concomitanza con alcuni eventi endurance, e si sarebbe così alternato al volante della seconda Audi con uno spilungone di nostra conoscenza. Spilungone che svolse anche un importantissimo ruolo da collaudatore, cosa che gli piaceva moltissimo fare anche nella sua vita precedente nei rally. Tedesco, velocissimo, tester di assoluto livello, e con la voglia di dimostrare di saper andare forte anche in pista. Signore e signori, stiamo parlando ovviamente di Walter Rohrl.

L’abitacolo della 200 Quattro

Il risultato fu a dir poco imbarazzante, per gli americani ovviamente. Dopo il secondo posto nella gara di apertura a Long Beach, Haywood vinse subito dopo a Dallas, e replicò alla quarta uscita di campionato a Detroit, dando il via ad un filotto di cinque vittorie consecutive dell’Audi. Rohrl, al Niagara Falls circuit, doppiò addirittura tutti. Il pubblico, e tutti gli avversari, rimasero folgorati dalla superiorità schiacciante della 200 Quattro. La macchina, più leggera delle rivali, era agilissima, e con una accelerazione in uscita dalle curve di un’altra categoria grazie al sistema Quattro. Con la 200 si poteva sorpassare praticamente ovunque, anche all’esterno con traiettorie senza senso, per non parlare dell’efficacia in condizioni di bagnato.

L’Audi vinse 8 gare delle 13 in programma, e vinse il campionato costruttori. Haywood dominò la classifica piloti, Stuck vinse il maggior numero di gare in una stagione, quattro, e Rohrl si aggiudicò la gara finale a St. Petersburg. I tentativi di limitare lo strapotere tedesco, come l’aumento del peso minimo per la 200, o l’utilizzo di pneumatici con una minore impronta a terra, furono vani. Un “veni, vidi, vici”, alla tedesca insomma. E gli americani muti.

Harley Haywood e Hans-Joachim Stuck

Nel video sotto Rohrl e Stuck raccontano (in tedesco purtroppo) l’avventura con la 200 Quattro, ma le immagini valgono più di mille parole.

Il salto nell’IMSA e l’arrivo della 90 Quattro IMSA GTO

Se non c’è nulla che tu possa fare contro i tuoi avversari, allora fai cambiare il regolamento. E fu proprio quello che fecero in America per cancellare i tedeschi dallo scacchiere. Per la stagione 1989 il regolamento della Trans-Am vietava l’utilizzo della trazione integrale, e per non sbagliare qualcuno scrisse anche che solo i costruttori americani avrebbero potuto prendere parte al campionato. Tiè, problema risolto. Quasi…quasi. Sì quasi, perchè i tedeschi, che ci avevano preso gusto, cacciati dalla porta rientrarono dalla finestra.

Silurati in malo modo dalla Trans-Am ad Ingolstadt decisero di iscriversi al campionato IMSA per il 1989. L’IMSA, nata sempre dalla mente di Bishop (perchè non ce n’è più di gente così in giro?), era nata come campionato riservato alle GT, ma si era presto aperta alle vetture Gruppo 5, e subito dopo alle Sport Prototipo, con vetture quindi simili a quelle che sarebbero confìuite nella categoria Groppo C della FIA (vedi Porsche 956 e Lancia LC2 ad esempio), ma senza limitazione dei consumi. Insomma, una categoria molto più competitiva della Trans-Am, e in cui si poteva fare un po’ quello che si voleva: il terreno di caccia perfetto per il sistema Quattro insomma.

In Audi, nonostante il pochissimo tempo a disposizione fra la cacciata dalla Trans-Am e l’inizio della nuova stagione, decisero di partire da zero con una nuova macchina. Come base, anzi come tetto, partirono dall’Audi 80/90 B3. Perchè tetto? Perchè il regolamento prevedeva che il tetto della vettura dovesse essere uguale a quello di un modello di serie. E il resto? Praticamente nulla, a parte che il cambio dovesse essere a cinque marce. Ma che figata era una volta?

Dal tetto della 90 in Audi disegnarono poi qualcosa che con il modello di serie aveva in comune solo il marchio della casa. Telaio tubolare, carreggiate allargate a 2 metri, spoiler, pneumatici larghi quasi 40 centimetri, ovviamente il sistema di trasmissione Quattro, e sotto il cofano il gioiellino made in Germany già visto sulla Quattro S1 Pikes Peak. Per far fronte alle avversarie della IMSA non si poteva più risparmiare in termini di cavalleria, così i tecnici tedeschi rispolverarono la massima evoluzione del loro 5 cilindri. 720 cavalli di potenza e la Umluft a tenere alti i giri del turbo in rilascio. Risultato? Uno tra i più bei suoni mai sentiti nel motorsport, a mio parere. Vedere, anzi ascoltare, dal video sotto.

Chicca tra le chicche il pupazzetto installato sul lunotto posteriore, che azionato dal pilota calava le brache mostrando il posteriore all’avversario che era stato appena superato. Che goduria.

La gestione del team fu tenuta questa volta in casa, con i piloti confermatissimi dall’avventura dell’anno precedente. Ad Haywood, Stuck, e Rohrl, si aggiuse anche Scott Goodyear, visto che in campionato erano previste anche gare di durata da effettuare con doppio pilota. A causa delle tempistiche ridottissime in cui si trovarono a sviluppare la 90 IMSA GTO, in Audi furono costretti a saltare le prime due uscite di campionato.

Il 5 cilindri turbo della 90 IMSA GTO

A Sebring, al debutto, Hans Stuck si qualificò davanti a tutti, ma nessuna delle Audi vide il traguardo per problemi al motore. Dalla gara successiva la musica cambiò, con Stuck che si portò subito a casa la prima delle sue 7 vittorie stagionali, di cui una in coppia con Rohrl. La superiorità della 90 Quattro era evidente, con la vettura che seppur meno potente rispetto alle avversarie Ford, Nissan, e Corvette, le surclassava in agilità e trazione. Il ritardo accumulato nelle prime due gare, e l’impressionante costanza della Ford con la sua Mercury Cougar XR-7, non permisero però questa volta ai tedeschi di trionfare nella generale. L’Audi terminò infatti al secondo posto nel costruttori, e al terzo nella classifica piloti con Stuck.

Se sapete il tedesco nel video sotto trovate altre info e racconti della stagione. E se non lo sapete le immagini sono comunque bellissime.

E l’onboard di Haywood? Wow! Ok, basta…la smetto.

La vettura aveva comunque impressionato tutti, dimostrando ancora una volta la superiorità del sistema Quattro, anche se abbinato ad un motore meno potente rispetto a quelli utilizzati dalla concorrenza. La strada era tracciata, e con già un anno di sviluppo e di corse alle spalle la divisione Americana dell’Audi si preparava a strapazzare la concorrenza per la stagione successiva.

Anche in questo caso però, la squadra che vince fu richiamata altrove, con la casa madre che decise di aver già dato prova della sua superiotà tecnologica in terra americana. Era tempo di tornare alla base, e di cominciare un’altra avventura nel DTM tedesco, con la nuova Audi V8 Quattro.

Credit pics: audistory.com / muecke-motorsport-classic.de / historicmotorsportcentral.com
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