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CIAR: un piatto senza sapore

Il CIAR è iniziato e ci sono sempre più domande senza risposte

Nome diverso, stessa gara, attori noti. Con una bella rimescolata degli stessi ingredienti, ha preso il via il massimo campionato italiano, il primo dell’era “tutto asfalto” che ricalca il modello francese dei campionati assoluti suddivisi per specialità. Una nuova idea per provare a rilanciare un campionato sempre più in difficoltà, fagocitato dalle difficoltà economiche ed in preda ad una crisi esistenziale che perdura ormai da diversi anni.

Dal punto di vista sportivo, come in qualunque altra gara, si è riusciti a ricavare qualche trama e spunto degno di nota in una gara tutto sommato noiosa. Tuttavia non scopriamo oggi che Crugnola, Basso e co. possano dare vita a belle sfide, se messi nelle condizioni di poterlo fare.

Ed è proprio su queste “condizioni” che vorrei focalizzare le mie considerazioni. Riflessioni post gara in cui sorge più di una perplessità sul futuro del nostro massimo campionato.

Ma andiamo per gradi, senza la presunzione di voler insegnare a qualcun altro il proprio mestiere. Con tutto il desiderio di capire quale strada abbiamo intrapreso e da quale parte dovrebbe portarci.

Per chi viene organizzato e con quale obiettivo il campionato italiano rally?

Come in ogni evento, spettacolo o organizzazione, deve esserci un target attorno a cui si costruisce un progetto. Un filo conduttore che lega tutte le parti e le porta a remare nella stessa direzione. Oggi nel CIAR non c’è o se c’è non si vede.

La totale assenza di team ufficiali sposta l’esistenza dell’intero campionato sulle spalle dei team privati che, ai bei tempi, potevano invece fare da “sparring partner” e godere della luce riflessa portata dai team con maggiori possibilità.

Oggi, anche tra gli equipaggi di punta, il pilota deve raccogliere il budget per poter fare più gare possibili, sperare in un preparatore “generoso”, in qualche treno di gomme regalato e che non succeda poi troppo durante la gara perché la franchigia è sempre lì come una spada sopra la testa.

Si tolgono chilometri su chilometri alle gare e si “declassa” la terra a campionato minore perché gli iscritti servono a far tornare i conti degli organizzatori (autentici martiri) ed abbattere i costi è il solo modo per poterne mantenere un numero alto.

Negli ultimi anni questa ricetta aveva tutto sommato funzionato, sulla scia di un’autentica invasione di vetture R5 sul mercato nazionale, mentre in questa prima uscita stagionale è impossibile nascondere il suono di qualche scricchiolio.

Manca in maniera palese uno schema di obiettivi che rendano chiaro il motivo per cui si organizza un campionato italiano e chi dovrebbe essere l’attore principale attorno a cui ruotano tutti i fattori. Finora si è potuto far finta di niente, ora inizia ad essere complicato.

Che senso ha tutto il mistero del pre-stagione?

Non fossi una persona appassionata ed ormai abbastanza inserita nel movimento rallystico nazionale penserei che questo campionato esista da circa quindici giorni, massimo venti.

Il CIR 2021 si è deciso alla penultima gara stagionale (1o ottobre) ed ha visto l’ultima gara andare in scena il 7 novembre 2021. Da quel giorno, tolta una breve scia di saluti di fine anno, è calato un silenzio tombale su quello che, in linea del tutto teorica, dovrebbe essere la Serie A dei rally italiani.

Nemmeno portare uno dei top driver in cima ad una classifica mondiale (Crugnola a Monza ha vinto il WRC3, ce lo ricordiamo?) è servito a mantenere leggermente più alta l’asticella dell’attenzione sui rally italiani.

Tutto nascosto, tutto segreto, come se la voglia di rally degli italiani potesse andare in vacanza in attesa che tutto si riaccenda. E l’impressione, stavolta più di altre volte, è che quel campionato addormentatosi col nome CIR e risvegliato CIAR abbiamo perso un’altra bella fetta di interesse.

Il nostro sito dice quasi -30% di visite rispetto al periodo del Ciocco 2021. Certo non siamo noi il metro di riferimento ma, un campanello d’allarme mi pare il minimo farlo suonare.

Che ruolo hanno gli appassionati in tutto questo (a patto che un ruolo ce l’abbiano)?

Non si può negare che ci sia qualche segnale positivo. Sia lato di chi organizza che dal lato di chi corre, si prova a comunicare molto di più rispetto al passato. L’intenzione è di arrivare alle persone, tra (più o meno) goffi tentativi di dare luce a qualche sponsor agli occhi degli appassionati e qualche contenuto simil confezionato che dovrebbe fare da spot alla disciplina.

Ed è qui che si evidenzia il palese corto circuito: quando tutto è riacceso il pubblico serve, lo si rivorrebbe al centro della scena per valorizzarne (e monetizzarne) il ruolo. Tutto questo dopo averlo ignorato e messo in disparte per lungo tempo.

Urge decidere nei rally italiani (ma probabilmente anche in generale) quale posto si vuol dare alla gente. Quello attuale è decisamente marginale e punta a coinvolgerne sempre meno. Tanto varrebbe andare in pista (calmi, è una provocazione) per garantire gli interessi di chi coi rally ci lavora ed il resto lasciare che smetta di sognare che si torni a vedere gare di cui sentirsi veri promotori.

Il risultato?

A voler scomodare qualche paragone culinario, un piatto con tanti ingredienti potenzialmente interessanti ma che, a conti fatti, risulta decisamente scialbo.

E quel che preoccupa di più è che dalla cucina non ci sono più idee per migliorare la cucina e le persone con voglia di mangiare italiano sono sempre di meno.

Photo Credit: ACI Sport
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