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Cosa manca ai giovani italiani per vincere? – Il punto di Vittorio Caneva

Mentalità, attitudine ed un'immagine dei rally da ricostruire che potrebbe aiutarli

Il tanto famoso “spazio ai giovani”. Di questo abbiamo deciso di parlare questa volta con Vittorio Caneva, uno che di giovani da lanciare ne vede passare spesso nella sua Caneva Rally School. Lo facciamo proprio oggi, quando Alberto Battistolli ha appena finito di festeggiare la sua prima vittoria assoluta al Liburna Terra. Una successo figlio di tanta passione, dedizione, pazienza e che porta Alberto davanti a tutti in una gara nazionale dopo una stagione a confrontarsi in Europa coi big dell’ERC.

Abbiamo finalmente trovato la ricetta giusta? Ci siamo confrontanti con Caneva e di cose interessanti ne sono uscite molte, sui cui vale la pena di ragionare.

Ciao Vittorio,

piacere di ritrovarti con uno dei nostri approfondimenti sul mondo dei rally. Oggi vogliamo parlare di giovani e, soprattutto, di giovani italiani. I campionati nazionali si stanno concludendo praticamente tutti ed anche quest’anno si conferma la regola che è “un’altra generazione” quella che vince. Da qui vorrei partire oggi, da questa scuola di cinquantenni che ancora domina e non lascia che le briciole ai giovani che provano ad affacciarsi nelle posizioni che contano nei rally italiani.

Guarda, il discorso giovani italiani onestamente mi ha lasciato diverse notti insonni a pensare. A cercare di capire per quale motivo i nostri ragazzi non riescano ad andare, quando nel mondiale invece tanti coetanei non vanno affatto male. Onestamente ho visto diversi ragazzi che potenzialmente sono o erano molto bravi ma, per un motivo o per l’altro, non sfondano.

Io penso sia un po’ la mancanza d’esperienza, un po’ mancano i “super team”. Mi spiego. I piloti più “anziani” corrono con team ben collaudati e ben forniti a cui aggiungono l’esperienza della messa a punto della macchina e la conoscenza delle gare stesse che, bene o male, sono sempre quelle. Diventa quindi più semplice per un Basso, un Rossetti o un Andreucci mettersi davanti ad un giovane che, in teoria, ha i due o tre passaggi e poco altro. Questo è sicuramente un fattore rilevante.

Chiarissimo però stupisce come non emergano veramente mai. Lasciamo stare le varie considerazioni sulle caratteristiche delle gare ma sarebbe quantomeno lecito aspettarsi non dico la costanza di risultati ma, almeno qualche exploit che faccia pensare che c’è del margine. Non succede mai.

No, è vero. Non vincono nemmeno le speciali ed un motivo vero e proprio non riesco a trovarlo. Forse c’è poco interesse, i giovani sono pochi e quei pochi che ci sono non hanno le qualità per primeggiare. C’è poca selezione. Se ci fai caso tutti i piloti più esperti vengono dai trofei dove, per quanto non ci fossero chissà quali macchine performanti, erano vere e proprie scuole di agonismo. Si scannavano veramente. Adesso manca un po’ la cultura della lotta e della competizione.

Altro elemento che ritengo importante è l’impossibilità di fatto di fare test. Le regole che son state messe esistono solo in Italia ed è una limitazione incredibile. Fare un test oggi nel nostro paese costa più che fare una gara e quando ci stanno questi ragazzi in macchina? Fanno uno shakedown, solitamente ridicolo anche quello e che basta a malapena per capire se la macchina va in moto oppure no. Non puoi essere competitivo come uno che ci sta sopra da una vita. Con le macchine attuali devi essere a posto, basta una stupidaggine e prendi i secondi al chilometro.

Però, oltre a questo, li vedo poco incisivi. Forse hanno tutti paura di sbattere, della franchigia. Credimi, io di ragazzi molto bravi ne ho visti. Gente su cui sarei stato pronto a scommettere ma che messa lì è sparita.

Quindi non ne fai una questione di caratteristiche del campionato o di necessità di avere un marchio alle spalle come sta provando a fare Toyota con la Yaris GR Cup.

Il monomarca va benissimo però, quando vedo che ci arrivano dentro vari volponi con 500 gare sulle spalle mi chiedo come possano dare una mano ad un giovane che vuole uscire. I giovani devono stare sulla macchina, il più possibile e questo manca tantissimo da noi. Quelli che fanno il mondiale stanno in macchina otto ore al giorno festivi compresi.

Certo. Si nota poi nelle gare internazionali dove noi facciamo molta fatica e dove il solo Basso è riuscito a stare davanti ed in una gara con tutte le caratteristiche delle gare italiane.

L’ho detto mille volte infatti che qui in Italia si corre in un altro modo. Sia chiaro, non è la colpa dei giovani o dei vecchi. Non voglio neppure colpevolizzare gli organizzatori, anzi, penso siano dei veri eroi ad organizzare gare in Italia. La mia idea è che in Italia si faccia un altro sport ed è difficile poi quando andiamo a metterci a confronto. Da me vengono tantissimi piloti nordici infatti ad imparare a guidare nelle curve. Per la Spagna abbiamo preparato tanti piloti ad affrontare le curve ed è già una gara molto veloce.

Mi ricordo in un Corsica Gronholm che mi disse: “mi sembra di essere in un piazzale pieno di birilli dove non riesco a trovare la via d’uscita”.

Visto il gancio che mi crei sul mondiale proviamo a capire cosa c’è diverso lì. Detto che i “progetti” Rovanpera e Solberg sono cose a parte e figlie di possibilità diverse,abbiamo visto di recente la vittoria dello Junior di Sami Pajari che hai avuto il piacere di conoscere. Talento perché ci nasci, attitudine o cos’altro?

Sami, per quanto mi riguarda, è un grandissimo talento ed un bravissimo ragazzo. Ma quello che più mi impressiona di questi ragazzi, e non solo di lui, è la mentalità, come prendono le cose. Non ho mai visto nei nostri quel livello di serietà, oltre ad un background alle spalle che è davvero notevole. Manager, sponsor. Non lo insegno io che ci vogliono i soldi per correre ed in Italia pare che i soldi li abbiano in tanti ma poi non si vedono. Tutti tirati al limite per provare a fare un Monza in R5.

E allora, apro una parentesi veloce, perché incamponirsi per andare su macchine più grosse per un momento di gloria piuttosto che correre di più in categorie più accessibili?

Sai a quanti ho detto di cercare di correre ogni domenica su macchine che costino meno e che gli dia modo di fare tantissimi chilometri? Solo così capisci la gara, le condizioni dell’asfalto o della terra e tutto quello che serve per crescere un po’ alla volta.  Ma sono pochi quelli che fanno questa strada. Se ci fai caso anche la Federazione ormai punta a tenersi i piloti in casa, dopo averci provato ma, lì è un discorso a parte.

Facciamolo.

Non è difficile, bisogna fare come la FFSA. Metti sul piatto un paio di milioni di euro e vai da un ufficiale che dia una macchina vera ad un prospetto. Funziona così da sempre. Poi magari il pilota lo sbagli ma o fai così o non è fattibile. Se guardiamo i risultati diversi son spariti ma due tre cose le hanno vinte. Lo stesso vale per i finlandesi, guarda cosa accaduto con Teemu (ndr. Suninen) a suo tempo. Non sarai mai competitivo se vai ad affrontare gli ufficiali con un team privato, nemmeno se ci metti il più grande dei talenti.

Quindi ha un suo peso sulla mentalità il fatto che da altre parti il rally è sport nazionale mentre da noi è ormai ridotto a sport della domenica, non trovi?

Ti sbagli Alex. In Italia il rally è “lo sport dei delinquenti che vanno in giro a spaccar tutto e a far danni”. Questa è l’immagine che i rally hanno e io ne avevo parlato con dei vertici di ACI, segnalando che bisognava fare qualcosa per cambiarla. Serve un immagine diversa.

Certo, al tg solo se muore qualcuno.

Ma non solo. Basta un pirla con la macchina da tuning che tira giù un palo e “faceva rally”. La Federazione dovrebbe tutelarci, far capire che è uno sport vero. Questo è importantissimo ed aiuterebbe ad avere ricambio. E non parlo solo di piloti: parlo di team, di meccanici, di commissari, di verificatori. Tutto quello che serve. Trovo in campo gara dei meccanici di quando correvo io. Come l’appassioni altra gente con un’ immagine del genere? E come li convinci gli sponsor?

Cos’altro serve per uscire fuori Vittorio?

Servono gli attributi. In giro ci sono ancora piloti davvero agguerriti nonostante l’età ed un giovane, secondo me, dovrebbe pensare: “piego la macchina, se serve!”. Per andar forte la ricetta è quella. Devi provare ad andare a vincere qualche prova ogni tanto, no? E invece niente. E non vanno piano eh, non hanno niente da invidiare agli stranieri. Ma poi manca quella mentalità per fare l’ultimo salto, quello che ti fa vincere.

Nel mondiale sono arrivati dei giovani che iniziano a mettere in crisi i vecchi ed è così che funziona in ogni sport. Tranne che nei rally italiani.

E allora come lo portiamo un italiano nel mondiale?

Guarda che non siamo mica tanto ben visti noi italiani nel WRC, per tutto quello che abbiamo combinato nella storia. Non vedo possibilità per i nostri di andare nel mondiale. Forse chi potrebbe riuscirci è la Pirelli ma, non mi pare ne abbiano poi così tanta intenzione. Non penso che alla Federazione interessi più ma, credimi, l’aspetto primario è l’immagine dei rally in Italia. Raccontiamo bene che sport è il rally e allora potremo rialimentare qualche speranza.

Grazie mille Vittorio!

Grazie a voi!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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