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Walter Rohrl – La teutonica furia del rally

Da autista del vescovo all'olimpo dei migliori piloti di sempre

Un concentrato di verace istinto, teutonica precisione, indomabile audacia, pura eleganza ed un pizzico di dosata pazzia, il tutto immerso nell’involucro di uno stile inconfondibile. Ecco chi era ed è Walter Rohrl, se proprio si debba fare il sacrificio di dir di lui nella sintesi di una frase.

Da madre natura dotato di statura alta e snella (solamente quattro centimetri al di sotto dei due metri), con una capigliatura fulva e robusta, Walter Rohrl nacque il 7 Marzo del 1947 nell’antica Ratisbona (Regensburg, nella lingua di Johann Wolfgang von Goethe e di Thomas Mann), proprio l’urbe in cui, anni prima di essere ordinato Cardinale, Joseph Aloisius Ratzinger ebbe a presiedere una cattedra di teologia dogmatica, Rohrl presenta le caratteristiche principali di tanti tipici bavaresi, dunque pure naturalmente amante dei motori e cultore delle quattro ruote, anche se, ben presto, finì per rivelarne di varie altre, proprie solamente dei campioni di razza. 

Ma c’è anche qualcosa d’altro, qualcosa di davvero poco solito, che provvede a rendere così esclusiva e attraente la sua storia di pilota fin dai suoi albori. Molto innanzi, difatti, di esprimersi nel 1968, ché aveva ventun anni, con la partecipazione al primo campionato rally della sua vita, la passione di Rohrl per la guida sportiva aveva preso pratica coltivazione in modo alquanto curioso: da ragazzo appena, gli era toccato di servire come autista addirittura il vescovo della Diocesi della propria città! E sarà proprio quest’esperienza – da lui, comunque, forse per una sorta di pudore, sempre negata – a fargli da base di esercizio per quella futura professione che lo porterà ad una gloria dalle solide fondamenta e luminosa come poche altre in ambito automobilistico.

Può, poi, tornare inverosimile, ma, come nel caso di certi grandi, famosi artisti, man mano che raggiungano un maggiore stadio di maturazione, lo stile di Rohrl al volante conobbe più stagioni, anzi, principalmente due, in certo senso perfino opposte fra esse.

Nella prima, che potremmo anche definire della giovinezza, l’era della spensieratezza, quando l’incoscienza fa ancora la voce grossa nella vita di ogni essere umano, il pilota tedesco sfodera una tale spregiudicatezza al volante, che, ben presto, gli si riconosce un singolare primato di spericolatezza. Uno capace di lasciare una traccia indelebile ed entusiastica anche nel giudizio di tanti altri suoi colleghi contemporanei, che lo ammirano neanche tanto segretamente, ma, ai quali, non riuscì mai, comunque, di eguagliare quelle maniere così amorose dell’azzardo.

Ed è anche per questa avvincente, iniziale peculiarità, che egli viene oggi ricordato, insieme alle sue tante gare di questo periodo e ai discreti piazzamenti, che, da un tratto, cominceranno a materializzarsi con cadenza sempre più regolare.

Questa maniera di pilotare raggiunge l’apice all’età di ventisette anni, nel 1975, quando Rohrl vincerà il suo primo rally, durante l’appuntamento caratteristico dell’Acropoli, a bordo di una Opel Ascona adeguatamente preparata.

Da questo momento in poi, più esattamente da quando, intorno alla fine degli anni ’70,  la Fiat gli affiderà una 131 Abarth, l’approccio del germanico ai cimenti da rally cambierà in modo radicale e risolutivo, finendo per sublimarsi in uno stile definitivamente pulito e, financo, più attento all’integrità complessiva dell’automobile.

D’altra parte, mentre si dedicherà pure alla disciplina di pista in competizioni del Mondiale Endurance (ciò che gli permetterà di affinare appunto quel senso di maggior contenimento nella conduzione delle traiettorie), sarà proprio alla guida della vettura torinese che conquisterà il titolo Costruttori e per ben tre volte, vale a dire nel 1977, 1978 e 1980. Quest’ultimo anno schiumerà anche dello stappo di un’altra bottiglia di champagne, quella destinata a festeggiare il trionfo per il titolo Piloti.

Nel 1982, di nuovo alle redini di Opel Ascona, il fuoriclasse bavaro si cinge ancora dell’alloro più ambito, e tanto malgrado la competitività complessiva delle gare, nel frattanto, fosse aumentata sensibilmente con l’ingresso in scena della Audi Quattro, una concorrente assai temibile non solo per via della tecnologia più avanzata, ma pure per quella trazione integrale che le consentiva una maggiore stabilità di marcia anche nelle condizioni più impervie.

Due anni appresso, dopo una parentesi vincente in Lancia con la 037, l’approdo in Audi e, dunque, in sella proprio a quella Quattro che, fino ad allora, aveva combattuto come antagonista. Per giunta, proprio nel periodo in cui gli ingegneri dell’Audi avevano portato a compimento la versione Evo 2, potente di oltre 550 cv, un’autentica belva paragonabile, per spettacolare eccezionalità, alla successiva, per data di presentazione, Delta S4. 

Il contesto del marchio di Ingolstadt rappresentò addirittura l’alveo materno delle sue successive affermazioni, non solo come pilota (su Sport Quattro S1, con la vittoria alla folkloristica manifestazione statunitense della Pikes Peak, tra le suggestive Montagne Rocciose, in pieno Colorado), ma pure come consigliere tecnico e collaudatore, il che affuoca quelle altre qualità che attengono al suo essere naturalmente votato ai motori, anzi, alla potenza dei motori.

E sarà quest’ultima, d’altronde, la strada seguita per la fase più matura della sua carriera sportiva, come consulente anche in Porsche, dove, negli anni a seguire, prenderà il largo, considerando anche il generoso “phisique du role”, nel ruolo di rappresentante ufficiale dell’effigie di Stoccarda nel mondo.

Un impegno che non gli impedirà, tuttavia, di partecipare a sfilate motoristiche d’epoca e, qua e là, pure di esibirsi in isolate gare di rally dal carattere rievocativo, come l’italiana Mille Miglia, nell’edizione del 2018, che correrà insieme al suo navigatore tradizionale, quel Christian Geistdorfer che gli fu fedelmente a fianco dal 1977 al 1987.

Ma, tra i vari dati emergenti dalla sua avventura, uno continua a risaltare indenne e a mantenersi sempre acceso: di ammirare Walter Rohrl, non se ne aveva e, a tutt’oggi, non se ne ha mai abbastanza, ancora oggi, cioè, che sono trascorsi più di trent’anni dal suo abbandono dell’agonismo. Perché non poteva non colpire in profondità, e lì restarci, quel suo essere così signorile ed imperturbabile, con la contraddizione che naturalmente produceva, per questo, nella sua applicazione ad una disciplina automobilistica tanto rude e agitata come il rally.

Perché, anche, lo “spettacolo” era della sua persona, prim’ancora che della sua prestazione in gara: al volante, le sue mani parevano, infatti, quelle di un classico junker prussiano alle prese con le briglie del proprio calesse da corsa; assiso sul sedile, rafforzato dai vari sistemi di sicurezza, la sua sagoma ricordava da vicino quella di un tipico cavaliere ussaro dell’epopea gloriosa della battaglia di Lipsia; inquadrato dal casco, il suo volto avrebbe potuto anche passare per quello di un aviatore di un Fokker D VII, uno dei caccia più competitivi della Luftstreitkrafte, l’aeronautica imperiale del Kaiser Guglielmo II durante la Grande Guerra. E chissà che lo stesso Barone Rosso non avrebbe avuto che da cedergli lo scettro di miglior pilota dell’aria dell’epoca, se solo il bavarese di Ratisbona fosse nato diversi decenni prima, con la passione per il volo e la volontà di servire la patria tra i pericoli emozionanti dei cieli d’Europa.

Probabilmente, della grandiosità di quelle sue prodezze fatte di corse forsennate, dossi scambiati per trampolini da tuffo olimpionico, curve introdotte da vigorose e impeccabili sterzate, suoli fangosi affrontati quasi che, al posto della mota, vi fosse un aderentissimo asfalto di fresco getto, Rohrl non aveva piena coscienza, perché troppo concentrato nel realizzarle, proprio come accade nel caso di un musicista d’eccezione che sia completamente assorbito allo spartito di una prestigiosa, geniale opera in note, composta per la somma gioia di ’una sola, irripetibile, indimenticabile esecuzione.

Oggi, coi suoi abbondanti settantaquattro anni, Walter Rohrl potrebbe apparire come il classico, distinto gentiluomo tedesco di tarda età al quale, di tanto in tanto, va volentieri di concedersi una piacevole passeggiata in autodromo. Ma, se così fosse, a questo bisogna aggiungere il pilota sempre vivo nelle sue vene e, dunque, l’immutata voglia di esserci che, ancora adesso, prende forma in adesioni attive a manifestazioni motoristiche celebrative, oppure a specifici eventi su circuiti di tutta Europa.

Photo Credit: RedBull.com
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1 Commento

  • sundance76
    Posted 28 Agosto 2021 14:57 0Likes

    A me pare che la prima vittoria in un rally mondiale sia nel ’75, non ’74.
    Liquidare l’83 con mezzo rigo mi pare eccessivo. Forse bavarese è più aderente al linguaggio corrente.

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